Robinson - Oltre il giardino
11 novembre 2018
Dall’Eden a Buddha 10 volte in paradiso
Marino Niola. Disegni di Marta Signori
Un posto da eroi Ercole tra i germogli Chiedi a Babilonia Alla festa di Adone |
Pomi proibiti e frutti d’oro. Palme, fragole e alberi frondosi. Per favorire il riposo, e i sollazzi, degli eroi di ogni religione. Dai miti greci al Corano, dalla Bibbia a Gilgamesh: ma quanto era verde questo Aldilà? |
Casa Siddharta Insciallah! Più di mille notti Nudi all’aiuola |
Cogli la prima mela Gilgamesh for sex |
Così l'orto fa il monaco
Enzo Bianchi
Perché nei monasteri non manca mai il chiostro-giardino? Perché la pace eterna si anticipa. In terra.
Uno spazio quadrato adiacente alla chiesa abbaziale, progettato e realizzato per essere vissuto come un giardino. È quanto ritroviamo in una pergamena del IX secolo conservata nell’abazia di San Gallo, che raffigura la planimetria del monastero benedettino così come concepito da quella riforma di Benedetto di Aniane che influenzerà per secoli il monachesimo occidentale. La vita del monaco, ritmata dall’alternanza tra preghiera e lavoro, concedeva tuttavia alcune ore vissute in uno spazio delimitato da muri con porticato, uno spazio aperto verso il cielo, nel quale il monaco poteva dedicarsi ad azioni gratuite: l’esercizio della bellezza incarnata nel quotidiano attraverso la cura per le piante, la centralità dell’acqua, la linearità ornamentale di una geometria essenziale… Questo era il “cuore verde” del monastero, il chiostro- giardino: un microcosmo ordinato che nutriva la meditazione e la preghiera, uno spazio di silenzio in cui gli occhi potevano posarsi in basso su una riproduzione dell’Eden primordiale o elevarsi verso il cielo, anelito insopprimibile.
I monaci avevano dormitori comuni o celle austere per riposarsi di notte, ma durante il giorno era il chiostro il luogo della loro fatica contemplativa, che chiamavano labor e non otium, in contrapposizione alla cultura latina. Un giardino così concepito non era un’invenzione originale del monachesimo benedettino alto medievale: ispirazioni arabe, archetipi dell’antichità babilonese, persiana e greca non gli erano estranei, tuttavia la sua comprensione simbolica resta tipicamente benedettina. Era uno spazio sconosciuto all’Oriente cristiano, perché il deserto, le foreste, i luoghi impervi ed estremi preferiti dai monaci per il loro insediamento non consentivano ampiezza di spazi edificati. Ma in Occidente questo luogo chiuso ma infinito, silenzioso ma abitato dalla contemplazione, costruito in modo simbolico non mancava mai nella vita dei monaci, che si trovassero in campagna o vicino alla città.
Template:Yello L’amante innalza un canto alla bellezza dell’amata, la insegue, la chiama a sé, confessa che gli ha rapito il cuore, che i suoi abbracci sono più inebrianti del vino: per questo l’amata è un “giardino chiuso” che solo a lui si apre, una “fonte sigillata” cui lui solo ha accesso e può dissetarsi… Linguaggio erotico, che si nutre di immagini quotidiane e straordinarie insieme: la bellezza di un giardino con piante, fiori e frutti, la trasparenza dell’acqua di una fontana che irriga e dà vita…
Non sorprende che siano passate a indicare uno spazio di riposo, di contemplazione, di vita piena (lo shalom ebraico) dove regna solo l’amore, la comunione. Questa immagine del giardino riecheggia l’Eden, il giardino dell’in-principio in cui Dio aveva posto l’adam, il “terrestre” da lui creato; ma al contempo evoca il giardino escatologico, il Pardes, il Paradiso, luogo destinato a essere riposo dalle fatiche del duro mestiere del vivere, luogo di pace, delizie e vita piena perché la morte sarà stata vinta. Il monaco, assiduo frequentatore delle Scritture, aveva queste immagini davanti agli occhi e questa speranza in fondo al cuore: così il chiostro, il giardino chiuso cui poteva accedere quotidianamente era per lui una primizia, un pegno, un’anticipazione della realtà che lo attendeva.
Guglielmo Durando nel XIII secolo scriveva: “Il chiostro celeste significa il Paradiso, dove ci sarà un solo cuore”. Ecco il giardino come grande metafora della vita interiore e del cuore unificato: protetto da una recinzione, luogo di lavoro liberato dall’obbligo, terreno di semina e di raccolto, spazio di attesa e di meditazione. Nei monasteri non manca mai e costituisce per il monaco il luogo più caro dopo la cella, lo spazio dove solitudine e comunione si incontrano: con parole discrete e con voce pacata, il monaco lì può parlare con i fratelli, passeggiando sotto i portici quando piove, sostando all’ombra delle piante nei giorni di calura, godendo dei tiepidi raggi di sole invernali che scendono dall’alto quasi a baciarlo…
Lì può vivere l’arte rara della quiete che dà pace.
Dickinson & C. poeti in fiore
Nadia Fusini
Un giardino dove coltivare poesia e botanica. E non c’è solo Emily. Vi dice niente Lady Chatterley?
I romantici amano la Natura — Emily è romantica. I poeti amano la Natura — Emily è poeta. Gli americani amano la Natura — Emily è americana. Ecco almeno tre motivi che spiegano l’interesse, anzi la passione, di Emily Dickinson per i fiori, le piante, il giardino. D’accordo, nel suo caso la Natura si incarna in esterni assai domestici: l’orto, il frutteto, il giardino, il parco sotto casa. Niente di sconfinato, né selvaggio. Non siamo a Walden con Thoreau, alla sua vita nei boschi. Ma a Amherst, nella imponente magione “The Homestead”, che perfettamente incarna l’importanza della sua famiglia nella comunità. Della casa Emily abita soprattutto una stanza, rigorosamente bianca e monacale, dove negli anni sempre più si ritira come in una cella. E dove scrive di nascosto i suoi versi. Se esce è per andare in chiesa, per coltivare la sua anima. O in giardino, dove coltiva altri frutti. Ma siccome il suo Eden lo trova appena fuori dell’uscio, presto smette di frequentare il Tempio: la rinascita dei fiori a ogni primavera le basta per credere nella resurrezione.
È lì, in un angolo soleggiato della proprietà, nel boschetto di meli e peri, tra le aiuole di rose e gelsomini, che Emily si espone al “fuori”. Sono pochi passi, ma nel passaggio dal chiuso della casa all’Aperto si apre all’avventura nel mondo naturale. Non coltiva semplicemente, piuttosto si mette in dialogo, si espone a una relazione immaginativa e spirituale con le piante. È più di un’esperta giardiniera, è una vera e propria scienziata botanica.
La guida una volontà di conoscenza analitica e insieme mistica, pratica e metafisica. Ha una speciale passione per i bulbi. Con incomparabile auto-ironia si definisce “Lunatic on Bulbs” — è pazza dei bulbi, va matta per i narcisi, i giacinti e altre perenni primaverili, e al padre Edward, così austero, chiede in dono una serra, e il padre Edward, severo ma oblativo, gliela concede. Nella serra Emily ripara le piante più delicate nel periodo invernale e prepara nuovi innesti. Ha un problema agli occhi e la luce diurna le fa male, così frequenta la serra nelle ore notturne. Agli occhi sani dei suoi vicini irreprensibili e puritani, doveva apparire strana, quasi un fantasma, quella figurina leggera di donna che si aggirava silensilenziosa tra la serra e il giardino. Al chiaro di luna.
Presto la serra si trasforma in un giardino d’inverno dove le felci con le loro grandi foglie arricciate convivono con le gardenie e i gelsomini e i loro incantati profumi. Mentre le fucsie e i garofani aggiungono note di colore orchestrate con cura dalla sapiente maga giardiniera. La quale, più che come poetessa, nella sua esistenza terrena conquisterà la fama grazie alla conoscenza delle forme di vita del mondo vegetale. È di fatto impressionante il suo governo del regno delle Piante. Almeno quanto la sua istintiva e perfettamente controllata e autorevole sovranità delle forme espressive del verso.
Quella di crescere fiori e generare versi sono due passioni assolutamente indivisibili nella sua esistenza, sì che conoscendo il suo amore per il giardinaggio, comprenderemo meglio le sue poesie.
Senza alcun dubbio la competenza che rivela in materia di botanica ha profondamente influenzato le sue composizioni poetiche. E getta una nuova luce sul suo temperamento, sulla sua sensibilità estetica e sulla sua visione delle affinità tra arte e natura, rivelando come proprio l’intima comprensione dei due mondi le serva a scegliere certe metafore e non altre per dare parola a emozioni come l’amore e l’odio e la paura, e voce a pensieri profondi sulla morte e l’immortalità.
Sempre in letteratura, non solo nel caso della romantica Emily o del trascendentalista Thoreau, la Natura fa da sfondo e veicolo espressivo dell’esperienza esistenziale.
Se in Dickinson si presenta nei modi flamboyant di un erotismo mistico, in altri scrittori può prendere la forma di una concreta fisicità in cui si incarnano emozioni altrimenti innominabili.
È quanto accade nell’incontro erotico tra Constance e il suo villico amante nel capanno di caccia della Lady Chatterley di D. H. Lawrence. A una donna affamata d’amore il mondo naturale si offre come il perfetto habitat in cui conoscere la gioia del corpo, l’orgasmo. Tra gli ulivi, nella vigna, nel bosco, tra i fiori selvatici e i pallidi anemoni e le celidonie e sotto i noccioli, Constance fa l’amore con il suo amante. E tra quei profumi naturali, sensuali, conosce il piacere.
Così l'orto fa il monaco
Enzo Bianchi
Perché nei monasteri non manca mai il chiostro-giardino? Perché la pace eterna si anticipa. In terra.
Uno spazio quadrato adiacente alla chiesa abbaziale, progettato e realizzato per essere vissuto come un giardino. È quanto ritroviamo in una pergamena del IX secolo conservata nell’abazia di San Gallo, che raffigura la planimetria del monastero benedettino così come concepito da quella riforma di Benedetto di Aniane che influenzerà per secoli il monachesimo occidentale. La vita del monaco, ritmata dall’alternanza tra preghiera e lavoro, concedeva tuttavia alcune ore vissute in uno spazio delimitato da muri con porticato, uno spazio aperto verso il cielo, nel quale il monaco poteva dedicarsi ad azioni gratuite: l’esercizio della bellezza incarnata nel quotidiano attraverso la cura per le piante, la centralità dell’acqua, la linearità ornamentale di una geometria essenziale… Questo era il “cuore verde” del monastero, il chiostro- giardino: un microcosmo ordinato che nutriva la meditazione e la preghiera, uno spazio di silenzio in cui gli occhi potevano posarsi in basso su una riproduzione dell’Eden primordiale o elevarsi verso il cielo, anelito insopprimibile.
I monaci avevano dormitori comuni o celle austere per riposarsi di notte, ma durante il giorno era il chiostro il luogo della loro fatica contemplativa, che chiamavano labor e non otium, in contrapposizione alla cultura latina. Un giardino così concepito non era un’invenzione originale del monachesimo benedettino alto medievale: ispirazioni arabe, archetipi dell’antichità babilonese, persiana e greca non gli erano estranei, tuttavia la sua comprensione simbolica resta tipicamente benedettina. Era uno spazio sconosciuto all’Oriente cristiano, perché il deserto, le foreste, i luoghi impervi ed estremi preferiti dai monaci per il loro insediamento non consentivano ampiezza di spazi edificati. Ma in Occidente questo luogo chiuso ma infinito, silenzioso ma abitato dalla contemplazione, costruito in modo simbolico non mancava mai nella vita dei monaci, che si trovassero in campagna o vicino alla città.
L’espressione hortus conclusus viene dalla traduzione latina della Vulgata di un versetto del Cantico dei Cantici, il libro più meditato e commentato dai monaci medievali. In questo poema l’amante si rivolge all’amata e la invoca, la canta: “Sorella mia, sposa, giardino chiuso (hortus conclusus), fonte sigillata (fons signatus)…” (Ct 4,12). L’amante innalza un canto alla bellezza dell’amata, la insegue, la chiama a sé, confessa che gli ha rapito il cuore, che i suoi abbracci sono più inebrianti del vino: per questo l’amata è un “giardino chiuso” che solo a lui si apre, una “fonte sigillata” cui lui solo ha accesso e può dissetarsi… Linguaggio erotico, che si nutre di immagini quotidiane e straordinarie insieme: la bellezza di un giardino con piante, fiori e frutti, la trasparenza dell’acqua di una fontana che irriga e dà vita…
Non sorprende che siano passate a indicare uno spazio di riposo, di contemplazione, di vita piena (lo shalom ebraico) dove regna solo l’amore, la comunione. Questa immagine del giardino riecheggia l’Eden, il giardino dell’in-principio in cui Dio aveva posto l’adam, il “terrestre” da lui creato; ma al contempo evoca il giardino escatologico, il Pardes, il Paradiso, luogo destinato a essere riposo dalle fatiche del duro mestiere del vivere, luogo di pace, delizie e vita piena perché la morte sarà stata vinta. Il monaco, assiduo frequentatore delle Scritture, aveva queste immagini davanti agli occhi e questa speranza in fondo al cuore: così il chiostro, il giardino chiuso cui poteva accedere quotidianamente era per lui una primizia, un pegno, un’anticipazione della realtà che lo attendeva.
Guglielmo Durando nel XIII secolo scriveva: “Il chiostro celeste significa il Paradiso, dove ci sarà un solo cuore”. Ecco il giardino come grande metafora della vita interiore e del cuore unificato: protetto da una recinzione, luogo di lavoro liberato dall’obbligo, terreno di semina e di raccolto, spazio di attesa e di meditazione. Nei monasteri non manca mai e costituisce per il monaco il luogo più caro dopo la cella, lo spazio dove solitudine e comunione si incontrano: con parole discrete e con voce pacata, il monaco lì può parlare con i fratelli, passeggiando sotto i portici quando piove, sostando all’ombra delle piante nei giorni di calura, godendo dei tiepidi raggi di sole invernali che scendono dall’alto quasi a baciarlo…
Lì può vivere l’arte rara della quiete che dà pace.
Dickinson & C. poeti in fiore
Nadia Fusini
Un giardino dove coltivare poesia e botanica. E non c’è solo Emily. Vi dice niente Lady Chatterley?
I romantici amano la Natura — Emily è romantica. I poeti amano la Natura — Emily è poeta. Gli americani amano la Natura — Emily è americana. Ecco almeno tre motivi che spiegano l’interesse, anzi la passione, di Emily Dickinson per i fiori, le piante, il giardino. D’accordo, nel suo caso la Natura si incarna in esterni assai domestici: l’orto, il frutteto, il giardino, il parco sotto casa. Niente di sconfinato, né selvaggio. Non siamo a Walden con Thoreau, alla sua vita nei boschi. Ma a Amherst, nella imponente magione “The Homestead”, che perfettamente incarna l’importanza della sua famiglia nella comunità. Della casa Emily abita soprattutto una stanza, rigorosamente bianca e monacale, dove negli anni sempre più si ritira come in una cella. E dove scrive di nascosto i suoi versi. Se esce è per andare in chiesa, per coltivare la sua anima. O in giardino, dove coltiva altri frutti. Ma siccome il suo Eden lo trova appena fuori dell’uscio, presto smette di frequentare il Tempio: la rinascita dei fiori a ogni primavera le basta per credere nella resurrezione.
È lì, in un angolo soleggiato della proprietà, nel boschetto di meli e peri, tra le aiuole di rose e gelsomini, che Emily si espone al “fuori”. Sono pochi passi, ma nel passaggio dal chiuso della casa all’Aperto si apre all’avventura nel mondo naturale. Non coltiva semplicemente, piuttosto si mette in dialogo, si espone a una relazione immaginativa e spirituale con le piante. È più di un’esperta giardiniera, è una vera e propria scienziata botanica.
La guida una volontà di conoscenza analitica e insieme mistica, pratica e metafisica. Ha una speciale passione per i bulbi. Con incomparabile auto-ironia si definisce “Lunatic on Bulbs” — è pazza dei bulbi, va matta per i narcisi, i giacinti e altre perenni primaverili, e al padre Edward, così austero, chiede in dono una serra, e il padre Edward, severo ma oblativo, gliela concede. Nella serra Emily ripara le piante più delicate nel periodo invernale e prepara nuovi innesti. Ha un problema agli occhi e la luce diurna le fa male, così frequenta la serra nelle ore notturne. Agli occhi sani dei suoi vicini irreprensibili e puritani, doveva apparire strana, quasi un fantasma, quella figurina leggera di donna che si aggirava silensilenziosa tra la serra e il giardino. Al chiaro di luna.
Presto la serra si trasforma in un giardino d’inverno dove le felci con le loro grandi foglie arricciate convivono con le gardenie e i gelsomini e i loro incantati profumi. Mentre le fucsie e i garofani aggiungono note di colore orchestrate con cura dalla sapiente maga giardiniera. La quale, più che come poetessa, nella sua esistenza terrena conquisterà la fama grazie alla conoscenza delle forme di vita del mondo vegetale. È di fatto impressionante il suo governo del regno delle Piante. Almeno quanto la sua istintiva e perfettamente controllata e autorevole sovranità delle forme espressive del verso.
Quella di crescere fiori e generare versi sono due passioni assolutamente indivisibili nella sua esistenza, sì che conoscendo il suo amore per il giardinaggio, comprenderemo meglio le sue poesie.
Senza alcun dubbio la competenza che rivela in materia di botanica ha profondamente influenzato le sue composizioni poetiche. E getta una nuova luce sul suo temperamento, sulla sua sensibilità estetica e sulla sua visione delle affinità tra arte e natura, rivelando come proprio l’intima comprensione dei due mondi le serva a scegliere certe metafore e non altre per dare parola a emozioni come l’amore e l’odio e la paura, e voce a pensieri profondi sulla morte e l’immortalità.
Sempre in letteratura, non solo nel caso della romantica Emily o del trascendentalista Thoreau, la Natura fa da sfondo e veicolo espressivo dell’esperienza esistenziale.
Se in Dickinson si presenta nei modi flamboyant di un erotismo mistico, in altri scrittori può prendere la forma di una concreta fisicità in cui si incarnano emozioni altrimenti innominabili.
È quanto accade nell’incontro erotico tra Constance e il suo villico amante nel capanno di caccia della Lady Chatterley di D. H. Lawrence. A una donna affamata d’amore il mondo naturale si offre come il perfetto habitat in cui conoscere la gioia del corpo, l’orgasmo. Tra gli ulivi, nella vigna, nel bosco, tra i fiori selvatici e i pallidi anemoni e le celidonie e sotto i noccioli, Constance fa l’amore con il suo amante. E tra quei profumi naturali, sensuali, conosce il piacere.
Dall’Eden a Buddha 10 volte in paradiso
Marino Niola. Disegni di Marta Signori
Un posto da eroi Ercole tra i germogli Chiedi a Babilonia Alla festa di Adone |
Pomi proibiti e frutti d’oro. Palme, fragole e alberi frondosi. Per favorire il riposo, e i sollazzi, degli eroi di ogni religione. Dai miti greci al Corano, dalla Bibbia a Gilgamesh: ma quanto era verde questo Aldilà? |
Casa Siddharta Insciallah! Più di mille notti Nudi all’aiuola |
Cogli la prima mela Gilgamesh for sex |