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Da Sotto le querce.

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Orto è una parola derivata direttamente dal Latino “hortus”, un termine con cui si indicava genericamente un’area coltivata dall’uomo in diretta antitesi alla “silva”, ovvero il terreno selvatico, cioè cresciuto in modo spontaneo, naturale. Orto d’altronde è un termine mutuato a sua volta dal Greco antico dove si indicava con questa radice quanto era asservito a una regola, a una misura, a una logica matematica (pensiamo ai termini ortodonzia, ortopedia, etc). L’hortus latino dunque indicava un terreno in cui l’uomo, rompendo gli schemi naturali, disegnava gli spazi rendendoli precisi e misurabili e in cui le piante, indipendentemente dal fatto che fossero ornamentali o commestibili, fossero disposte in un modo preciso. Questo concetto si ritrova facilmente nella letteratura antica dove spesso si parla degli “orti” di una città intendendo gli appezzamenti coltivati al di fuori delle sue mura. L’idea di un terreno asservito al “disegno” dell’uomo era un concetto molto ampio applicato ad aree che oggi chiamiamo più specificatamente giardini, frutteti e, naturalmente, orti. Il significato si è in qualche modo ristretto all’ambito di un piccolo appezzamento, talvolta anche di dimensioni molto modeste in cui si coltivano “ortaggi”, cioè piante destinate all’alimentazione e perciò disposte in un certo modo secondo regole che coinvolgono la distanza delle piante (sesti d’impianto) e la loro successione. A Firenze possiamo trovare gli “Orti del Parnaso” che non sono degli orti come noi saremmo indotti a pensare, ma dei giardini. Questo perché il concetto di orto, benché ormai ritenuto letterario, quasi aulico, è rimasto comunque a designare degli spazi dove la Natura è stata completamente asservita all’uomo per scopi decorativi o pratici.