Robinson - Non siamo i padroni della Terra

Da Sotto le querce.

Marino Niola

3 aprile 2021


La Repubblica Robinson - 03 Aprile 2021 - Non siamo padroni terra.jpg

Il copricapo Questo ornamento è conservato presso i Musées royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles: le piume di uccelli amazzonici con cui è realizzato erano oggetto in passato del commercio coloniale.

Nel suo saggio il grande antropologo francese Philippe Descola rimette in discussione la separazione tra natura e cultura che abbiamo ereditato dal Seicento. Ma la questione non è chiusa.

La Repubblica Robinson - 03 Aprile 2021 - Non siamo padroni terra.jpg
Il copricapo Questo ornamento è conservato presso i Musées royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles: le piume di uccelli amazzonici con cui è realizzato erano oggetto in passato del commercio coloniale.


Una volta l’antropologia era la scienza dell’uomo. Oggi il suo compito è di andare oltre l’umano. Perché i bipedi parlanti non sono i soli cittadini del mondo. Ma coabitano con altre creature, organiche e inorganiche. Animali, piante, minerali, acque, monti. Che non sono semplice natura, da sfruttare o da proteggere, come siamo abituati a pensare. Ma elementi di un collettivo di cui noi e gli altri esseri siamo parte allo stesso titolo e con gli stessi diritti. E per cogliere appieno la portata di questa coappartenenza dobbiamo lasciarci alle spalle la tradizionale opposizione tra società e ambiente, fra umano e non umano, tra esseri e non esseri. Insomma, tra natura e cultura. A dirlo è Philippe Descola, allievo del grande Claude Lévi-Strauss, nonché suo successore al Collège de France. Alla ricomposizione della faglia che divide in due il creato, Descola ha dedicato anni di ricerca sul campo e di elaborazione teorica. Il risultato è un lavoro monumentale come Oltre natura e cultura, che esce da Raffaello Cortina in una nuova edizione a cura di Nadia Breda, che firma anche la densa postfazione al volume.

Animali, piante, minerali, acque. Non sono semplice natura ma elementi di un collettivo di cui noi e gli altri esseri siamo parte
In realtà enti e viventi partecipano tutti dello stesso essere, ma con criteri di riconoscimento, rispecchiamento e reclutamento diversi, che corrispondono a diverse ontologie. Non tutte “naturaliste” come quella dell’Occidente, soprattutto quello moderno, che ha costruito la sua visione e la sua missione sull’opposizione tra natura e cultura. Considerate come due sostanze interagenti di cui la prima fa da sfondo alla seconda o, meglio, alle seconde. Cioè alle diverse configurazioni culturali. Perché nella nostra concezione, all’universalità dello stato di natura corrisponderebbe la diversità delle società e delle loro filosofie di vita. Come dire che il mondo è uno, ma le visioni del mondo tante. In buona sostanza, fino ad ora abbiamo più o meno consapevolmente pensato che al mononaturalismo si contrapponesse il multiculturalismo.

La nostra idea di natura risale alla Grecia antica, che fonda le sue cosmologie e le sue filosofie sull’opposizione tra physis e logos, e giunge a compimento nel naturalismo scientifico e filosofico che tra Cinque e Seicento costruisce la sua idea dell’uomo e della società sull’opposizione tra l’universo delle convenzioni e delle regole, ovvero la cultura, contrapposto al mondo dei fenomeni e delle leggi di natura.

Da una parte la persona umana, dall’altra le non-persone, cioè tutto il resto. Ma in questo modo, il vivente viene tagliato in due e separato da una parte di sé. Ed è stata proprio questa frattura, secondo Descola, a legittimare sul piano teorico e politico il dominio e lo sfruttamento, dell’uomo sull’altro uomo, nonché sulle altre specie.

La nostra idea di ambiente risale alla Grecia antica, che fonda le sue cosmologie e filosofie sull’opposizione tra physis e logos.
Philippe Descola, Oltre natura e cultura (Raffaello Cortina Editore, 2021)
Oltretutto, questa opposizione fra cultura e natura, fra gli umani e le altre creature, non è nemmeno universale. Molti popoli non la conoscono o non la condividono. Basti pensare al primo capitolo della nuova costituzione dell’Ecuador, che tutela proprio i diritti della natura. Concepita alla stregua di una persona vivente, Pachamama, la terra madre che è al centro di tutte le religioni mesoamericane. Ed è proprio nel corso della sua lunga ricerca sul campo in America Latina tra gli Jivaro Achuar dell’Amazzonia, che Descola ha subito il primo shock culturale e emotivo, che lo ha indotto a ripensare l’opposizione tra natura e cultura. E a relativizzare l’approccio naturalista dell’Occidente. Che ai suoi occhi diventa solo una cosmologia tra le altre possibili. Un falso mito più che una verità. In quei collettivi che vivono tra selve e savane, dove uomini animali e vegetali sono un solo intreccio, entrambi prede e cacciatori, mangiatori e mangiati, non è la forma a determinare la percezione della somiglianza e della vicinanza, della prossimità e dell’identità, ma la compatibilità. Che determina la coappartenenza a quella che Foscolo chiamava “bella d’erbe famiglia e d’animali”. Lo mostrano i bellissimi diademi di piume che nei tristi tropici amerindiani trasfigurano gli uomini in uccelli. O le pitture corporali, che fanno assomigliare i bambini a cuccioli di giaguaro. È da questa rete baudelairiana di corrispondenze tra qualità e proprietà, tra colori e odori, e non tra individui, che nasce l’identificazione tra le creature. Se per noi, dice Heidegger, il linguaggio è la casa dell’essere e lì abita l’uomo, ci sono collettivi diversi dove Sapiens non vive e lavora solo. Degli habitat o, meglio, dei “coabitat”. Come tra le popolazioni animiste, che riconoscono ai non umani la stessa interiorità degli umani, ma li distinguono per i loro corpi, per l’esteriorità. In effetti per Descola l’animismo non può essere ridotto a mentalità primitiva, ma va visto come l’esatto opposto del naturalismo occidentale. Il primo riconosce un’anima, o qualcosa di simile, a tutte le cose. Il secondo la nega agli esseri che non hanno forma d’uomini.

E se il naturalismo occidentale è malato di antropocentrismo, la critica di Descola non risparmia neanche l’ambientalismo contemporaneo. Che, al di là delle buone intenzioni, resta inemendabilmente naturalista, perché si fonda sull’idea che l’umanità sia tanto onnipotente e separata dal resto dei viventi da poter sia distruggere che salvare la natura. Che appare una terra desolata dove infelicemente abita l’uomo. Insomma, quel che questo libro ambiziosamente ci propone, è di transitare dal paradigma della terra desolata a quello della “terra descolata”.