Alberto Mari & Ulrike Kindl

Da Sotto le querce.
Alberto Mari (Milano, 1937) è poeta e artista visivo. Ha pubblicato le raccolte di poesia Scomparse (Milano,Guanda, 1979), Manovre (Milano, Moizzi, 1984), Il mondo d'un fiato (Milano, La Vita Felice, 1996) e Pensieri, orologi (Ibid., collana Niebo, 2005). Tra le ultime plaquette si segnalano: La casa di sé (Bergamo, edizioni d'arteEl Bagatt, 1991) e Non è tutto (Como, Dialogolibri, 2003). Ha inoltre pubblicato tre diverse antologie di cultura popolare nella Collana Oscar Mondadori, fra queste Fiabe popolari italiane ed è autore de Il posto delle favole (Roma, Stampa Alternativa, 2001).


Ulrike Kindl (Merano, 1951) è una docente italiana, studiosa di tradizioni popolari, già professoressa presso l'università Ca’ Foscari di Venezia, dipartimento di Scienze del Linguaggio.

Kindl ha studiato germanistica, medievistica e linguistica. Dal 1980 ha focalizzato le sue ricerche sui racconti popolari, favole e leggende dell'area alpina, oltre che sui punti di contatto tra favole popolari e favole d'autore.
Alberto Mari (Milano, 1937) è poeta e artista visivo. Ha pubblicato le raccolte di poesia Scomparse (Milano,Guanda, 1979), Manovre (Milano, Moizzi, 1984), Il mondo d'un fiato (Milano, La Vita Felice, 1996) e Pensieri, orologi (Ibid., collana Niebo, 2005). Tra le ultime plaquette si segnalano: La casa di sé (Bergamo, edizioni d'arteEl Bagatt, 1991) e Non è tutto (Como, Dialogolibri, 2003). Ha inoltre pubblicato tre diverse antologie di cultura popolare nella Collana Oscar Mondadori, fra queste Fiabe popolari italiane ed è autore de Il posto delle favole (Roma, Stampa Alternativa, 2001).


Ulrike Kindl (Merano, 1951) è una docente italiana, studiosa di tradizioni popolari, già professoressa presso l'università Ca’ Foscari di Venezia, dipartimento di Scienze del Linguaggio.

Kindl ha studiato germanistica, medievistica e linguistica. Dal 1980 ha focalizzato le sue ricerche sui racconti popolari, favole e leggende dell'area alpina, oltre che sui punti di contatto tra favole popolari e favole d'autore.

Il bosco

Miti, leggende e fiabe.

1989

Mari bosco.jpg

incipitL'immagine del bosco nella tradizione folcloristica: bosco reale e bosco mitico.
Dopo il mare, natura primigenia e fonte primordiale di vita, e la montagna, spazio ignoto e dimora inavvicinabile degli dei, il terzo luogo di suggestione profonda il cui fascino, fin dai tempi della classicità greco-romana, ha consentito la formazione di una ricchissima tradizione di miti, fiabe e leggende, è il bosco, con la sua natura selvaggia e impervia.
incipitL'immagine del bosco nella tradizione folcloristica: bosco reale e bosco mitico.
Dopo il mare, natura primigenia e fonte primordiale di vita, e la montagna, spazio ignoto e dimora inavvicinabile degli dei, il terzo luogo di suggestione profonda il cui fascino, fin dai tempi della classicità greco-romana, ha consentito la formazione di una ricchissima tradizione di miti, fiabe e leggende, è il bosco, con la sua natura selvaggia e impervia.

Introduzione

Contrariamente all'albero, il bosco non costituisce di per sé un simbolo carico di significati ancestrali, ma si connota come spazio reale con cui l'uomo ha dovuto misurarsi e che appartiene alla sua esperienza del mondo.

Indagare sulle tradizioni che documentano il graduale assorbimento del bosco nella dimensione umana, significa cercare di cogliere i riverberi immaginari prodotti dall'impatto tra l'uomo e la natura indomita e selvaggia.

In altre parole si tratta di illustrare la storia della lenta conquista di uno spazio in principio nonumano, quindi numinoso. […]

D'altra pane proprio la raccolta della legna e la caccia hanno contribuito a impedire che il bosco, come paesaggio naturale, luogo disabitato e in fondo sconosciuto, diventasse "spazio ignoto" come invece è accaduto con il mondo della montagna, che ha assunto il carattere di spazio numinoso per eccellenza, interdetto all'uomo e quindi irraggiungibile, sacrale e dimora invisibile degli dei. […]

I protagonisti delle avventure nel bosco sono, al ritorno, "felici e contenti", come vuole il rituale fiabesco; la leggenda invece descrive luoghi boschivi dalle caratteristiche misteriose, ma raramente si rifà a motivi della mitologia antica (tipici invece del mondo della montagna).

La connotazione dominante del bosco è evidentemente più idonea al carattere fantastico e narrativo della fiaba (anche se questo genere spesso registra altri "passaggi" in dimensioni diverse). […]

Il bosco non è uno spazio ignoto riservato agli dei, ma uno spazio umano sconosciuto, riservato a esperienze non quotidiane e perciò straordinarie: è l'affascinante luogo dell'inconscio.

Il motivo del bosco nel mondo immaginario

Il tentativo di interpretare i segni e i simboli del mondo fantastico può seguire diversi approcci; noi prenderemo qui in considerazione le ipotesi formulate dalle due scuole principali che hanno dedicato al tema del bosco ampi studi: l'interpretazione psicoanalitica derivata dal pensiero di Carl Gustav Jung e l'interpretazione folcloristicoantropologica della scuola strutturalista russo-francese.

L'interpretazione psicoanalitica derivata dal pensiero di Carl Gustav Jung
L'applicazione metodologica del pensiero psicoanalitico, soprattutto dei concetti di "inconscio collettivo" e di "archetipo", ha fornito apprezzabilissime letture di miti, fiabe e leggende, individuando nella narrativa fantastica gli stessi segni e simboli ricorrenti nei sogni e analizzando quindi i motivi fiabeschi come veri e propri "sintomi" di più sommersi processi inconsci.

Gli studi di Marie-Louise von Frantz, e soprattutto l'ampia opera della studiosa Hedwig von Beit, forniscono una vasta gamma di interpretazioni stupefacenti di fiabe comunissime come per esempio Biancaneve o l'imparentata La bella addormentata. Nel bosco, in totale segregazione dal mondo civile, immersi nella più assoluta solitudine e spesso in preda a un orrore indicibile, si compie - spiega la von Beit - lo sviluppo adolescenziale dell'eroe, oppure, in maniera ancora più esplicita, dell'eroina.

Il giovane sperimenta nel luogo sconosciuto l'acquisizione di una nuova autocoscienza, superando le proprie paure e insicurezze e maturando l'esperienza della propria affidabilità.

Il ragazzo diventa uomo, secondo un percorso difficile ma rettilineo, non traumatico.

La ragazza invece, durante il periodo adolescenziale, si trova a vivere un cambiamento radicale; vede la sua personalità infantile "morire" per dare spazio a una entità inquietante e nel contempo attraente: la femminilità.

La bambina perde le sicurezze infantili legate alla figura protettiva della madre, deve accomiatarsi da tutte le sue certezze e affrontare il trapasso verso l'universo della femminilità, ancora sconosciuto e quindi insidioso, simbolicamente minacciato dall'immagine di un'orrenda strega che si rivela "l'altra faccia" della figura materna.

Il trauma di questa esperienza può essere metaforicamente rappresentato come cacciata dal Paradiso, come persecuzione ingiusta, oppure anche come fuga da un padre che comincia a insidiare la figlia in via di sviluppo.

Quest'ultimo motivo, presente anche nel tema ricorrente della gelosia della matrigna sottolinea l'ambivalenza emotiva della giovane nei confronti della propria femminilità prorompente, da una parte temuta e demonizzata, ma dall'altra pur sempre ambita.

Questi sentimenti contraddittori si contendono l'anima dell'eroina, letteralmente "persa" nel suo paesaggio interiore.

Ecco allora che il bosco si configura come "proiezione" dei sentimenti contrastanti e ambigui annidiati nello spazio insidioso dell'inconscio.

L'angoscia e il turbamento soggettivi dell'eroina, provocati dai cambiamenti che deve affrontare, esasperano l'immagine di solitudine sconsolata e minacciosa del luogo, che suggerisce l'idea della morte, mentre una lettura più serena e oggettiva permette di riconoscere nel bosco il simbolo del benefico isolamento, necessario all'eroina per compiere indisturbata la sua difficile metamorfosi.

Ogni tentativo di violazione dell'isolamento risulterà infatti vano: falliranno sia i tentativi di impedire la trasformazione dell'eroina (il bosco proteggerà e accudirà in questo caso l'essere indifeso) sia quelli di liberarla prematuramente (il bosco si farà impenetrabile e manterrà la protagonista prigioniera, perché la crescita, metaforicamente rappresentata come periodo di sofferenza, impone i suoi tempi).

Solo al termine di questo delicato processo, dopo un mitico quinquennio oppure addirittura dopo "cento anni", l'eroina, tramutata ormai in splendida donna e sposa stupenda, può lasciare la protezione del bosco per cominciare la sua nuova vita.

Il bosco assume in questa visione un valore profondamente ambiguo: da una parte è l'inquietante, spesso anche minaccioso, simbolo di una realtà incombente ma non ancora conosciuta, che incute quindi paura; dall'altra, sembra ricordarci che solo superando questa paura e accettando la sfida lanciata dalla nuova realtà che Sl annuncia, sarà possibile compiere i passi necessari per crescere e maturare una nuova conoscenza di se stessi che fornirà le basi della futura felicità.


L'interpretazione folcloristico antropologica della scuola strutturalista russo-francese
Sempre dell'interpretazione delle fiabe si occupa la seconda grande scuola citata, che verte però in misura maggiore sull'aspetto storicoantropologico dell'antico patrimonio di tradizioni fantastiche.

Wladimir Jakovlevic Propp, il grande strutturalista russo che decifrò nella sua Morfologia della fiaba il sistema portante dell'"universo fiaba", alimentò con un altro suo contributo, Le radici storiche dei racconti di fate, la discussione: nelle "fiabe di magia", secondo la sua teoria, sarebbero contenuti i segni sbiaditi di antichi riti e costumi culturali, ricordi non più compresi di un passato dimenticato.

Apparentemente Propp, con questa nuova ipotesi, contraddice la sua stessa teoria che individuava nella fiaba una struttura atemporale e puramente formale.

Se la fiaba di magia, come Propp sostiene nella "Morfologia", è pura forma e segue un sistema strutturante sempre identico ed estremamente rigido nella sua logica interna, ogni riferimento contenutistico è vano, perché, nel rigorismo della pura funzionalità, decade inevitabilmente a mera illustrazione interscambiabile e quindi gratuita - del sistema costruttivo del genere. […]

Propp ammette le difficoltà, ma le scioglie con un intelligentissimo paradosso: proprio l'atemporalità del genere, proprio la pura, rigidissima funzionalità della fiaba hanno reso possibile la conservazione dei singoli nuclei narrativi che altrimenti, a ragion veduta, sarebbero andati perduti perché non più compresi.

La fiaba, NON soggetta alla necessità della razionalità e della verosimiglianza, ha custodito inalterati intrecci "impossibili" e fantastici, proprio perché assolutamente libera di spaziare nei territori dell'immaginazione, mai costretta ad adattarsi a un modello di realtà concreta, alla quale è invece vincolata l'"immaginazione soggettivamente reale" della leggenda. […]

La fiaba, infatti, non esige mai il rispetto di una logica "esterna" ma si impone con tutta l'autorità della sua carica fantastica, soggetta a un'unica condizione: far quadrare la sua stessa struttura, dimostrare cioè l'assoluta invincibilità dell'eroe e decretare il suo eterno trionfo finale.

Nell'intreccio fantastico della fiaba possono quindi sopravvivere tranquillamente, protetti da una forma assoluta e incontestabile, nuclei narrativi costituiti da tradizioni remote, costellazioni primitive e memorie ancestrali certamente non databili - la fiaba non è mai e in nessun caso storicizzabile - ma che lasciano ancora intravedere una loro carica significativa legata ad altri, ormai dimenticati, sistemi di "interpretatio mundi".


L'incontro con "il pensiero selvaggio"
Seguendo attentamente i segni di una tradizione europea ormai remota, l'antropologo H.P. Duerr definisce infatti il bosco come la raffigurazione dell'"altra realtà umana", dell'esperienza dell'inconscio come passaggio attraverso l'oscurità, indispensabile per raggiungere una nuova luce, un'approfondita conoscenza della realtà, un'esistenza più matura e consapevole.

Il bosco è il luogo del "tempo del sogno", è la natura selvaggia per eccellenza contrapposta alla natura coltivata, abitata e dominata dall'uomo.

Nel bosco l'uomo può ritrovare le sue radici, scoprire di appartenere egli stesso al regno della natura vergine e riconoscere la propria animalità. […]

L'incontro con il mondo del bosco è l'incontro con l'altra ancestrale dimensione umana, con "il pensiero selvaggio". Il ciclo iniziatico dell'uomo primitivo prevede questo incontro come stadio necessario: solo dopo aver vissuto l'esperienza del ritorno alla natura vergine, soggetta alle forze eterne del divenire e del perire dopo aver riscoperto l'irrazionalità della pura esistenza, l'uomo può recuperare il primato della razionalità, e accedere alla piena consapevolezza del mondo in cui vive.

Le narrazioni popolari che riportano il motivo del bosco, dunque, pur non trascurando la sfera numinosa, non la rappresentano Questa immagine del bosco appartiene a una dimensione umana che viene ancora avvertita ma che è stata meticolosamente rimossa; la si può ritrovare solo seguendo il misterioso richiamo dei sogni, risolvendo l'enigma dei segni e ascoltando l'affascinante messaggio di fiabe e leggende.

Il regno dell'inconscio non si schiude davanti alla fierezza della ragione e delle sue deduzioni logiche; si manifesta in immagini, in costruzioni analogiche o attraverso il misterioso linguaggio della narrativa fantastica.

Criteri di impostazione della presente raccolta

Alterità tra fiaba e leggenda
Le narrazioni leggendarie sono più adatte a caratterizzare l'aspetto numinoso e sacro del mare - che assume in questo senso una connotazione prevalentemente benefica come fonte originaria di vita e della montagna, di cui viene maggiormente evidenziato l'aspetto terrificante: la dimensione non-umana per eccellenza (l'aldilà).

In ogni caso, l'impatto tra la dimensione umana e quella divina, come abbiamo visto, risulta fatale, perché non "superabile" da parte dell'uomo.

Rispetto a questo tipo di esperienza solo la narrazione leggendaria può essere esauriente, perché solo questo genere è in grado di rappresentare adeguatamente la numinosità, anzi, proprio da questa trae la definizione stessa di genere.

La fiaba invece, per sua natura, non conosce la dimensione numinosa, ma soltanto quella costituita dall'azione del protagonista. […]

Per quanto riguarda invece la centralità del motivo del bosco, il discorso cambia: il bosco che soggiace alle rigide leggi morfologiche della fiaba non è un bosco "reale", ma un tipico "non-luogo" fiabesco.

Esso non ha carattere numinoso, è uno spazio sconosciuto ma non ignoto, la sua dimensione è la stessa dell'uomo, riproposta nel suo aspetto più misterioso, remoto, selvaggio.

L'impatto con il mondo del bosco potrà essere orribile, forse traumatico, ma non necessariamente fatale; in quel tenebroso ambiente si potranno incontrare streghe e demoni, ma si troverà anche il modo di uscirne indenni.

Il bosco non è l'aldilà e le presenze numinose che lo popolano non sono i signori della vita e della morte, i sovrani degli inferi e i custodi dell'eternità, ma i numi tutelari di una realtà che include anche l'uomo: quella della natura incontaminata, della vegetazione selvaggia, del ciclo eterno della vita e della morte, del perenne trasformarsi di tutte le cose.