Le Scienze - L'Antartide sta collassando?

Da Sotto le querce.

Richard B. Alley

Le Scienze, maggio 2019

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Il rapido ritiro dei ghiacciai potrebbe sommergere le zone costiere del mondo prima del previsto.


I ghiacciai si stanno sciogliendo, il livello del mare si sta alzando. Sappiamo già che l’acqua dell’oceano si sposterà verso la terraferma lungo la costa orientale degli Stati Uniti, il Golfo del Messico e le coste in tutto il mondo. Quello che gli scienziati stanno cercando di capire con urgenza è se l’inondazione sarà molto peggiore del previsto, dell’ordine di metri invece che di decimetri.


La grande domanda è: stiamo entrando in un periodo di scioglimento dei ghiacci ancora più rapido? Se sì, fin dove arriverà, e in che tempi? Per rispondere bisognerebbe sapere come reagirà alle decisioni umane l’enorme ghiacciaio Thwaites, nell’Antartide occidentale. Determinerà se le attuali zone costiere saranno percorse ancora da auto o da pesci.

Il riscaldamento globale sta sciogliendo i ghiacciai nelle regioni montane e sta alzando l’acqua degli oceani, mentre riduce il ghiaccio a entrambi i poli. Negli ultimi 25 anni gli oceani si sono innalzati in media di circa 3 millimetri l’anno, equivalenti a una trentina di centimetri in un secolo. Lo scioglimento degli altri ghiacciai di montagna in tutto il mondo farebbe crescere il livello del mare di altri 30 centimetri abbondanti. Ma le enormi calotte di ghiaccio sulla terraferma in Groenlandia e in Antartide hanno il potenziale per alzarlo di oltre 60 metri: un loro piccolo cambiamento ne può provocare di grandi sulle coste. Potrebbero continuamente staccarsi e scomparire pareti di ghiaccio lunghe molti chilometri e alte centinaia di metri, innalzando parecchio il livello del mare.

Secondo proiezioni ben documentate, in questo secolo l’ulteriore crescita del livello del mare dovrebbe essere ancora modesta, forse una sessantina di centimetri in caso di riscaldamento moderato e un metro o poco più anche con uno consistente. Quanto ai secoli successivi, gli scienziati hanno prove concrete che una crescita costante e prolungata della temperatura peggiorerebbe la situazione. Ma se il fronte delle calotte si ritira potrebbe cominciare un’epoca di scioglimento dei ghiacci ancora più veloce.

Per valutare la probabilità dell’ipotesi cerchiamo indizi dai cambiamenti in corso, con l’aiuto delle conoscenze acquisite sul passato della Terra e sulla fisica del ghiaccio. Molti indizi provengono da cambiamenti clamorosi iniziati un paio di decenni fa nel ghiacciaio Jakobshavn, una parte importante della calotta della Groenlandia. I ghiacciai sono spinti dal loro stesso peso verso il mare, dove il fronte si scioglie o si frantuma, per essere sostituito dal ghiaccio retrostante. Quando la perdita è maggiore del flusso proveniente dal retro, il fronte si ritira, riducendo la calotta sulla terraferma e innalzando il livello del mare.

Negli anni ottanta quello di Jakobshavn era tra i ghiacciai in movimento più rapido al mondo: correva verso la Baia di Baffin, pur essendo trattenuto da una piattaforma di ghiaccio, cioè un’estensione di ghiaccio galleggiante sul mare. Negli anni novanta il riscaldamento dell’oceano, circa 1 °C, ha smantellato la piattaforma, e di conseguenza il ghiacciaio dietro di essa ha più che raddoppiato la sua velocità verso la riva. Oggi Jakobshavn si sta ritirando e assottigliando fortemente, ed è tra i singoli elementi che più contribuiscono all’innalzamento globale del livello del mare. Qui le testimonianze geologiche nelle rocce indicano che in passato si verificarono eventi simili. Le osservazioni attuali rivelano che azioni simili stanno trasformando altri ghiacciai della Groenlandia.

Se il ghiacciaio Thwaites, molto più esteso, dovesse aprirsi come ha fatto Jakobshavn, potrebbe frantumarsi insieme col ghiaccio circostante nel giro di pochi decenni, innalzando il livello del mare di circa 3,30 metri. Rischiamo allora che nel prossimo futuro il livello del mare cresca in modo catastrofico? O questo pericolo è sopravvalutato? Come faremo a prevedere il comportamento del Thwaites? I dati cominciano ad arrivare proprio adesso.

I grandi ghiacciai in Groenlandia, come lo Jakobshavn, stanno scorrendo veloci nell’oceano, alzando leggermente il livello del mare.
Anche il ghiacciaio Thwaites in Antartide occidentale, molto più grande, ha cominciato a scorrere più rapidamente. Il fattore fondamentale per il destino di questo ghiacciaio sarà l’eventualità del suo ritiro nella grande fossa subglaciale di Bentley dietro di esso.
Se si ritirasse, creerebbe pareti di ghiaccio molto alte, che si frantumerebbero nell’oceano. Se il ghiacciaio Thwaites cominciasse ad andare in pezzi, potrebbe alzare il livello del mare addirittura di 3,30 metri in pochi decenni.

Cialde sulla costa

Valutare la minaccia di Thwaites è un’operazione complessa. Per farci un’idea, cominciamo dalla colazione. Se per preparare cialde tipo waffel versate sulla piastra l’impasto, questo si distribuirà sui quadretti della griglia. Dal punto di vista fisico, il peso dell’impasto spinge il cumulo verso l’esterno, superando l’attrito della griglia sotto di esso. L’espansione dell’impasto rallenta via via che la cottura lo fa solidificare, o se lo trattenete con la spatola.

Le calotte di ghiaccio sono come grandi cialde, spesse fino a circa 3 chilometri e larghe come un continente. In cima cade la neve, che si trasforma in ghiaccio essendo schiacciata dal peso delle nevicate successive. Questi enormi cumuli di ghiaccio sono robusti – sono atterrato su di loro con pesanti aerei militari da trasporto equipaggiati con gli sci – ma comunque si espandono. Spesso hanno una temperatura lontana pochi gradi dal punto di fusione, quindi il ghiaccio è abbastanza morbido da scorrere lentamente dalla zona centrale più alta verso l’esterno, dove è più veloce a sciogliersi e a staccarsi. I cumuli di ghiaccio più spessi o ripidi, come quelli in Groenlandia e Antartide, si espandono più rapidamente.

Se la si lascia stare, una calotta cresce finché è abbastanza spessa e ripida da far sì che espansione, scioglimento e rottura compensino il continuo afflusso di neve. Il cumulo di ghiaccio può mantenere la stessa grandezza per molto tempo. Ma sul nostro pianeta sempre più caldo la situazione è diversa. L’umidità nella neve che ogni anno cade sulla Groenlandia e sull’Antartide, che proviene quasi interamente dal mare, equivale a uno strato di acqua, evaporata da tutti gli oceani, profondo poco più di 6 millimetri. Ora le calotte di ghiaccio stanno restituendo agli oceani circa il 15 per cento in più di questo valore, attraverso il deflusso dell’acqua di fusione o il distacco degli iceberg, alzando leggermente il livello del mare. Se lo scioglimento resta superiore alle nevicate per un tempo abbastanza lungo, una calotta di ghiaccio può scomparire. Ai ritmi attuali, però, ci vorrebbero quasi 100.000 anni. Ma se il riscaldamento si intensifica, lo scioglimento accelera. Ed è la situazione globale in cui ci troviamo adesso.

Bellezza terribile

L’acqua di fusione
scava nella calotta di ghiaccio della Groenlandia, accelerandone la caduta verso il mare: un segnale delle tendenze future in Antartide.

Il flusso di una calotta dipende dalla forza del cumulo, da quanto è lubrificata contro l’attrito sul terreno e dal fatto che sia trattenuta o meno da una spatola, cioè che sia attaccata a una piattaforma di ghiaccio galleggiante. Il riscaldamento atmosferico generale può ammorbidire il ghiaccio e scongelare i punti in cui il fondo ghiacciato è fissato dal gelo alla roccia sottostante, permettendogli di scivolare più velocemente verso il mare. Ma ci vuole molto tempo per trasmettere il calore in uno strato spesso 3 chilometri. Le grandi calotte non hanno ancora finito di scaldarsi per l’aumento delle temperature dell’aria che pose fine alla più recente era glaciale, oltre 10.000 anni fa…

Il ghiaccio e il suo letto possono riscaldarsi più velocemente se dall’alto scende acqua di fusione giù nei crepacci. In alcuni punti nei fianchi dei ghiacciai della Groenlandia, in estate l’acqua di fusione si raccoglie in grandi cavità sulla superficie, formando grandi e bellissimi laghi azzurri. L’acqua, essendo più densa del ghiaccio, tende ad aprire crepacci che possono raggiungere il letto in basso e drenare il lago. Espandendosi, un lago può scavare in oltre 800 metri di ghiaccio, creando un flusso d’acqua maggiore delle cascate del Niagara. Il riscaldamento del letto che così avviene in un’ora richiederebbe altrimenti 10.000 anni.

Questo è un processo importante, e lo stiamo studiando con la massima attenzione. Ma non è la preoccupazione principale per chi abita sulle coste, dato che il letto sconnesso può anche evitare che il ghiaccio acceleri verso il mare.

Lo stesso meccanismo presenta una minaccia più grave se avviene su una piattaforma di ghiaccio. In luoghi molto freddi, il ghiaccio che scorre nell’oceano resta attaccato, ma galleggia. Queste piattaforme si trovano quasi sempre in baie o fiordi protetti. Il loro movimento è rallentato dall’attrito lungo le linee costiere che le circondano e forse dal contatto con le sporgenze che in alcuni punti svettano dal fondo marino. La piattaforma rallenta lo scorrimento sulla terraferma del ghiaccio che non galleggia.

Il riscaldamento dell’aria può dare origine a laghi in cima alle piattaforme, che possono andare in pezzi quando i laghi penetrano nei crepacci. Nel 2002, per esempio, la piattaforma Larsen B, nella Penisola Antartica, a nord del ghiacciaio Thwaites, si è disintegrata quasi del tutto in sole cinque settimane, con gli iceberg che si staccavano e cadevano come tessere del domino. Questo non ha innalzato subito il livello del mare – la piattaforma stava già galleggiando – ma la perdita della piattaforma ha permesso alla calotta di ghiaccio sulla terraferma dietro di essa di scorrere più rapidamente nell’oceano: come se fosse stata tolta una spatola, permettendo all’impasto di fluire. Il ghiaccio si muoveva con una velocità addirittura da sei a otto volte maggiore rispetto a prima. Per fortuna dietro la piattaforma Larsen B, nella stretta Penisola Antartica, non c’era moltissimo ghiaccio, quindi il livello del mare si è alzato solo leggermente. L’evento però ha dimostrato che le piattaforme si possono disintegrare rapidamente, lasciando andare i ghiacciai che avevano trattenuto. Inoltre possono essere sciolte da sotto dall’acqua di mare riscaldata, come è successo a Jakobshavn.

Quando si perdono le piattaforme, gli iceberg si staccano direttamente dalle pareti della calotta che si affacciano sul mare. Anche se è uno spettacolo emozionante per i passeggeri delle navi da crociera, in Alaska e altrove, questo fenomeno accelera la fine della calotta di ghiaccio. Oggi, a Jakobshavn, gli iceberg si staccano da una parete che svetta a un centinaio di metri sopra l’oceano – come un palazzo di 30 piani – e si estende sott’acqua per un’altezza circa nove volte maggiore. Cadendo, questi iceberg provocano spruzzi alti 50 piani e terremoti rilevabili dagli Stati Uniti.

Per ora, la perdita delle piattaforme e il distacco delle pareti di ghiaccio contribuiscono poco a innalzare il livello del mare. A Thwaites però questo processo potrebbe rendere l’aumento molto più ingente, perché un caso geologico ha posto il ghiacciaio vicino a un «punto critico» nella grande fossa subglaciale di Bentley.

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Oltre l’ostacolo

Nel 1956, una mattina di autunno Charles Bentley (che anni dopo sarebbe stato il relatore della mia tesi di dottorato) discusse la tesi alla Columbia University. Il giorno dopo saltò su un treno per Panama, quindi prese una nave diretta a sud, per partecipare al progetto di ricerca dell’Anno geofisico internazionale che avrebbe analizzato la Terra. Trascorse due anni nell’Antartide occidentale, e al ritorno scoprì che non si era ancora laureato perché non aveva pagato la tassa per la tesi. Nel frattempo, con il suo gruppo aveva attraversato circa 5000 chilometri di ghiaccio, intorno alla base di ricerca Byrd Station e lungo ampie distese in Antartide Occidentale. (Bentley è morto a 87 anni, nel 2017.)

Tra le loro numerose misurazioni e scoperte, la più importante per la nostra storia riguardava lo spessore del ghiaccio. A questo scopo provocarono piccole esplosioni in superficie, usando sismometri per ascoltare il suono che attraversava la calotta e rimbalzava sul letto. Questi dati dimostrarono che l’Antartide Occidentale non era un sottile velo di ghiaccio situato sopra un continente alto, come qualcuno aveva ipotizzato. Al contrario, Bentley e il suo gruppo trovarono uno strato di ghiaccio molto spesso, e scoprirono la fossa subglaciale che da Bentley ha preso il nome. Qui il letto si trova circa 2,5 chilometri sotto il livello del mare: è il luogo più profondo della Terra che non sia coperto da un oceano. Il ghiaccio che lo riempie si innalza più di un chilometro e mezzo sopra il livello del mare.

Bentley e i glaciologi che lo seguirono avevano trovato un punto critico. La grande fossa e i bacini adiacenti si trovano sotto l’enorme centro della calotta dell’Antartide Occidentale. Se il fronte del Thwaites si ritirasse dalla costa verso la fossa, potrebbe dare origine a una parete di ghiaccio alta parecchie centinaia di metri, che si estenderebbe da una quota molto al di sopra della fossa fino alle sue profondità. Questa parete – molto più grande che al Jakobshavn, o in qualsiasi altro luogo sulla Terra – potrebbe spezzarsi, generando iceberg incredibilmente alti che si rovescerebbero e, passando dallo sbocco della fossa, uscirebbero galleggiando sull’oceano, alzandone di molto il livello.

Decenni di ulteriori ricerche hanno scoperto quanto sia importante questo meccanismo. John Anderson, che di recente è andato in pensione dopo 43 anni alla Rice University, con molti suoi dottorandi ha lavorato instancabilmente per mappare la piattaforma continentale sotto l’oceano che circonda l’Antartide, usando sonar a scansione laterale e altri strumenti. Il ghiaccio antartico si espanse di molti chilometri in tutte le direzioni durante le ere glaciali, per poi ritirarsi quando finirono. In passato il fondo marino che oggi circonda l’Antartide era il letto sotto la calotta di ghiaccio. Nei sedimenti sul fondo sono rimaste tracce significative che ci raccontano storie dettagliate sulle calotte.

Via via che spingono in avanti verso il mare, le calotte in espansione trascinano sedimenti. Il ghiaccio si stabilizza quando raggiunge un rialzo del fondo marino, e in questo punto aumenta l’altezza del fondale accumulando i sedimenti fino a formare alture moreniche: lunghe pareti di pietra che crescono dove finisce il ghiaccio. Questo può restare in posizione per secoli o per millenni, resistendo a deboli tentativi di spostarlo. Ma se il riscaldamento è sufficiente il ghiaccio si ritira lungo il letto in pendenza nella valle dietro la morena; è raro che si stabilizzi di nuovo fino a raggiungere l’alto crinale successivo, che spesso si trova molto indietro. Nel frattempo gli iceberg galleggiano sopra l’altura morenica abbandonata, che è ancora sotto il livello del mare, e se ne vanno nell’oceano.

È quanto accade in molti luoghi intorno ad Antartico e Groenlandia. Il ghiacciaio Jakobshavn ha «superato l’ostacolo» di un’ex altura morenica e si sta ritirando attraverso il suo fiordo a forma di valle, aprendo un percorso nella calotta di ghiaccio più grande. Quando la visitarono i primi esploratori europei, l’area dell’Alaska che oggi è la Baia di Glacier era riempita da un enorme ghiacciaio, delimitato da una grande altura morenica. Da allora il ghiaccio si è allontanato dall’ostacolo di quel crinale, ritirandosi un centinaio di chilometri verso l’interno, per arrivare fino al rialzo successivo, che oggi è la linea costiera attuale di questa bellissima baia.

Per fortuna, questi ritiri hanno per lo più un’influenza limitata sul livello del mare globale. Perfino un ghiacciaio grande come quello della Baia di Glacier è poca cosa rispetto agli oceani del mondo. Jakobshavn è solo uno tra decine di grandi punti di drenaggio intorno alla calotta di ghiaccio della Groenlandia, che però non destabilizzano rapidamente i propri vicini nei fiordi adiacenti, e non si spingono troppo verso l’interno, fermandosi dove il letto torna a rialzarsi. Analogamente l’Antartide è drenata da numerosi ghiacciai che scorrono giù per le rispettive valli, come nelle piastre per cialde. Se il riscaldamento è abbastanza consistente, molti di loro potrebbero ritirarsi allo stesso tempo, ma singolarmente nessuno ha un’influenza molto rilevante sul mare globale.

La fossa di Bentley, nell’Antartide Occidentale, come qualche altra depressione nell’Antartide orientale, tra cui i bacini di Wilkes e Aurora, ha una situazione diversa. Il ritiro attraverso uno di questi, fino al rialzo successivo, avrebbe un’importanza globale. I modelli indicano che il ghiacciaio Thwaites è il più probabile punto di accesso alla fossa di Bentley e ai bacini connessi. Se cominciasse ad aprirsi verso l’interno come ha fatto Jakobshavn, potenzialmente con il suo scioglimento potrebbe innalzare il livello del mare di circa 3,30 metri, prima di stabilizzarsi sul rialzo dall’altra parte della fossa. I bacini dell’Antartide Orientale da soli potrebbero alzare il livello del mare più di Thwaites, ma servirebbe un maggiore riscaldamento per portare quei ghiacciai a superare i rispettivi ostacoli.

Va detto che in questo scenario non c’è niente di strano. Con un riscaldamento sufficiente il ghiaccio si ritira, in genere fino al rialzo più vicino. E questo fenomeno è stato osservato più volte, sia in passato sia oggi. Se Thwaites diventerà abbastanza caldo da cominciare a comportarsi come i ghiacciai di Groenlandia e Alaska, allora dovrebbe ritirarsi.

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Richard B. Alley è professore di scienze della Terra presso la Pennsylvania State University. Da oltre quarant’anni studia le calotte di ghiaccio e fa da consulente al governo degli Stati Uniti su svariate questioni climatiche.

Un futuro di fratture?

A che velocità potrebbe andare Thwaites? Quanto riscaldamento possiamo provocare prima che la raggiunga?

David Pollard, della Pennsylvania State University, e Robert M. DeConto, dell’Università del Massachusetts ad Amherst, hanno programmato un modello di flusso del ghiaccio che si basa sui relativi principi fisici e, con computer avanzati, si può far funzionare abbastanza rapidamente per studiare grandi cambiamenti nelle calotte su periodi lunghi. Li ho aiutati con la fisica del distacco dalle pareti alte dopo la rottura delle piattaforme di ghiaccio, soprattutto se l’acqua di fusione in superficie apre i crepacci.

Pollard e DeConto hanno ottimizzato questo modello per farlo corrispondere ai dati geologici del passato e valutare l’impatto che avrebbero diversi livelli di riscaldamento antropogenico. Hanno stabilito che probabilmente, anche con un riscaldamento rapido, abbiamo qualche decennio prima che cominci il crollo di Thwaites, scatenato dalla perdita della sua calotta di ghiaccio e dall’allargamento dei crepacci per l’acqua di fusione. Quindi impiegherebbe circa un secolo per crollare del tutto. Non sapevano però quanto velocemente potrebbe rompersi il ghiaccio, quindi hanno impostato un tasso massimo uguale a quello di Jakobshavn, in Groenlandia. (Ha già superato quel valore per breve tempo.) E dato che Thwaites è più spesso, potrebbe creare pareti molto più alte di Jakobshavn. Le pareti più alte tendono a rompersi più rapidamente (un motivo per cui, nei lavori autostradali, gli ingegneri lasciano pendenze, più che pareti). Così può darsi che stiamo sottovalutando l’ipotesi peggiore, ma davvero non lo sappiamo.

È un buon modello, ma sicuramente Pollard, DeConto o altri non si fermeranno qui. Resta qualche speranza, per esempio, che Thwaites si possa stabilizzare su un crinale più profondo sulla discesa della fossa, dietro la sua posizione attuale, prima di ritirarsi ulteriormente. Oppure potrebbero staccarsi iceberg e accumularsi per un po’ dietro il crinale attuale, dove ora il ghiaccio comincia a galleggiare, contribuendo a riformare una piattaforma che potrebbe ridurre la perdita di ghiaccio.

Per rispondere a questa domanda e ad altre, la statunitense National Science Foundation e il britannico Natural Environment Research Council, collaborando con altre istituzioni internazionali, hanno lanciato un’iniziativa per conoscere ancora meglio la storia di Thwaites, l’attuale flusso del ghiacciaio e la superficie del fondo marino su cui sta scorrendo; l’iniziativa aiuterà tutti noi che siamo coinvolti a prevederne meglio il futuro. Con ogni probabilità i dati ridurranno le incertezze e saranno molto interessanti.

Alcune domande potrebbero restare di difficile soluzione. Pensate a tutte le tazze da caffè in ceramica che avete visto cadere su un pavimento duro. A volte rimbalzano, o si crepano, si scheggiano, oppure si rompono in mille pezzi. I processi fisici alla base di queste fratture sono noti e facili da calcolare, e il loro comportamento, considerato come media di tante tazze cadute, è prevedibile. Eppure non scommettereste la carriera, o qualsiasi altra cosa importante, con un pronostico sulla caduta della prossima tazza.

Il futuro di Thwaites dipenderà in gran parte dalle fratture. La piattaforma si staccherà dal ghiaccio che ora la alimenta, portando la calotta a superare l’ostacolo e ritirarsi nei bacini profondi? Si staccheranno rapidamente enormi iceberg, se la perdita della piattaforma di ghiaccio formerà una parete lungo il fronte della calotta, più alta di tutte quelle oggi esistenti sulla Terra, provocando un ritiro con una velocità mai vista prima? L’acqua di fusione è importante, ma quanta ne scorrerà in fiumi che finiranno nel mare e quanta ne percolerà nella neve e congelerà di nuovo? Quanto velocemente si scalderà l’aria? Ho il sospetto che al confronto le tazze da caffè siano facilmente prevedibili.

Se il mondo si prenderà questo impegno, rallentare e fermare il riscaldamento provocato dalle emissioni di gas serra ridurrà l’aumento del livello del mare, quindi anche i costi crescenti dei danni alle coste. Ma se Thwaites è destinato a ritirarsi rapidamente, evitare il riscaldamento limitando i danni provocati dall’attività umana potrebbe essere molto più importante.