Pëtr Alekseevič Kropotkin

Da Sotto le querce.
« Tutto il sistema della nostra educazione di Stato fu tale che fino all’epoca attuale, anche in Inghilterra, gran parte della società considerò come una misura rivoluzionaria la concessione di quei medesimi diritti che ciascuno, fosse egli uomo libero o servo, esercitava cinquecento anni fa nell’assemblea popolare del suo villaggio, nella corporazione, nella parrocchia, nella città. »
Pëtr Alekseevič Kropotkin (Mosca, 9 dicembre 1842 – Dmitrov, 8 febbraio 1921), è stato un filosofo, geografo, zoologo, militante e teorico dell'anarchia russo. Libertario, fautore di un'analisi sociologica e di una proposta poggiata su basi scientifiche dell'evoluzione sociale nelle comunità umane, con una propaganda fondata sui fatti, è stato uno dei primi sostenitori dell'anarco-comunismo. Come geografo, compì viaggi scientifici in Siberia e in Manciuria (1862-67), studiando in particolare i periodi glaciali. Nel 1872 si recò in Svizzera e in Belgio, dove ebbe contatti con esponenti del movimento operaio internazionale e abbandonò il liberalismo per l'anarchismo.
Pëtr Alekseevič Kropotkin (Mosca, 9 dicembre 1842 – Dmitrov, 8 febbraio 1921), è stato un filosofo, geografo, zoologo, militante e teorico dell'anarchia russo. Libertario, fautore di un'analisi sociologica e di una proposta poggiata su basi scientifiche dell'evoluzione sociale nelle comunità umane, con una propaganda fondata sui fatti, è stato uno dei primi sostenitori dell'anarco-comunismo. Come geografo, compì viaggi scientifici in Siberia e in Manciuria (1862-67), studiando in particolare i periodi glaciali. Nel 1872 si recò in Svizzera e in Belgio, dove ebbe contatti con esponenti del movimento operaio internazionale e abbandonò il liberalismo per l'anarchismo.

Il mutuo appoggio

1902

Kropotkin mutuo.jpg

incipitDue aspetti della vita animale mi hanno specialmente colpito durante i viaggi che feci, da giovane, nella Siberia orientale e nella Manciuria settentrionale. Da una parte vedevo l'estremo rigore della lotta per l'esistenza che quasi tutte le specie animali hanno da sostenere in queste regioni contro una natura inclemente; l'annientamento periodico di un enorme numero di esistenze, dovuto a cause naturali; e, di conseguenza, la povertà della vita sopra tutto il vasto territorio che ho avuto occasione di osservare. Dall'altra parte, anche in qualche zona ove la vita animale abbonda, non potei constatare – nonostante il mio desiderio di riscontrarla – questa lotta accanita pei mezzi di sussistenza, fra gli animali della stessa specie, che la maggior parte dei darwinisti (benchè non sempre Darwin stesso) consideravano come la principale caratteristica della lotta per la vita ed il principale fattore dell'evoluzione.
incipitDue aspetti della vita animale mi hanno specialmente colpito durante i viaggi che feci, da giovane, nella Siberia orientale e nella Manciuria settentrionale. Da una parte vedevo l'estremo rigore della lotta per l'esistenza che quasi tutte le specie animali hanno da sostenere in queste regioni contro una natura inclemente; l'annientamento periodico di un enorme numero di esistenze, dovuto a cause naturali; e, di conseguenza, la povertà della vita sopra tutto il vasto territorio che ho avuto occasione di osservare. Dall'altra parte, anche in qualche zona ove la vita animale abbonda, non potei constatare – nonostante il mio desiderio di riscontrarla – questa lotta accanita pei mezzi di sussistenza, fra gli animali della stessa specie, che la maggior parte dei darwinisti (benchè non sempre Darwin stesso) consideravano come la principale caratteristica della lotta per la vita ed il principale fattore dell'evoluzione.

Il mutuo appoggio negli animali

Di tutti i continuatori di Darwin, il primo, per quanto so, che comprese l'importanza del mutuo appoggio in quanto legge della natura e principale fattore dell'evoluzione progressiva, fu uno zoologo russo ben noto: il decano dell'Università di Pietrogrado, il prof. Kessler. Egli sviluppò le proprie idee in un discorso pronunciato nel gennaio 1880, qualche mese prima della sua morte, davanti un congresso di naturalisti russi; ma, come tante altre buone cose pubblicate solo in russo, questa notevole allocuzione rimase quasi sconosciuta.

«Nella sua qualità di vecchio zoologo», egli ritenne doveroso protestare contro l'abuso dell'espressione – la lotta per l'esistenza – applicata alla zoologia, o, almeno, contro l'esagerata importanza che viene attribuita a quell'espressione. In zoologia, diceva, e in tutte le scienze che trattano dell'uomo, si insiste incessantemente su quella che viene chiamata la legge spietata della lotta per la vita. Ma si dimentica l'esistenza di un'altra legge, che può esser detta legge del mutuo appoggio, e questa legge, almeno per quanto riguarda gli animali, è molto più importante della prima. Egli faceva notare che il bisogno di allevare la propria prole riunisce gli animali, e che «più gli individui s'uniscono, più si sostengono reciprocamente, e più grandi sono, per la specie, le possibilità di sopravvivenza e di progresso nello sviluppo intellettuale». «Tutte le classi di animali – aggiungeva – e sopra tutte le più elevate, praticano l'aiuto reciproco», ed egli forniva, in appoggio alla sua idea, degli esempi tolti dalla vita dei necrofori e dalla vita in comune degli uccelli e di alcuni mammiferi. Gli esempi erano poco numerosi, come conviene ad una prolusione, ma i punti principali erano chiaramente fissati; e, dopo aver indicato che nell'evoluzione dell'umanità l'aiuto reciproco ha una funzione ancora più importante, Kessler concludeva in questi termini: «Certo, non nego la lotta per l'esistenza, ma sostengo che lo sviluppo progressivo del regno animale, e particolarmente dell'umanità, è favorito molto più dal mutuo appoggio che dalla lotta reciproca… Tutti gli esseri organizzati hanno due essenziali bisogni: quello della nutrizione e quello della propagazione della specie. Il primo conduce alla lotta e allo sterminio reciproco, mentre che il bisogno di conservare la specie li spinge ad avvicinarsi gli uni agli altri e a sostenersi reciprocamente. Ma sono portato a credere che nell'evoluzione del mondo organico – nella modificazione progressiva degli esseri organici – il mutuo aiuto fra gli individui abbia una funzione ben più importante della lotta reciproca».

I fatti che mettono in luce l'aiuto reciproco fra le termiti, le formiche e le api sono così ben conosciuti attraverso le opere del Forel, del Romanes, di L. Büchner e di John Lubbock, che posso limitarmi ad alcune indicazioni. Se, per esempio, prendiamo in esame un formicaio, non soltanto vi vediamo che ogni specie di lavoro, – allevamento della prole, approvvigionamenti, costruzioni, allevamento degli afidi, ecc., – è compiuto seguendo delle regole di mutuo appoggio volontario, ma bisogna anche che riconosciamo con Forel che le caratteristiche principali, fondamentali, della vita di molte specie di formiche è il fatto, o piuttosto l'obbligo, per ogni formica, di spartire il proprio nutrimento, già inghiottito e in parte digerito, con ogni membro della comunità che gliene chieda. Due formiche appartenenti a due specie diverse o a due formicai nemici, quando per caso si incontrano, si evitano. Ma due formiche appartenenti allo stesso formicaio, od alla stessa colonia di formicai, si avvicinano l'una all'altra, scambiano qualche movimento delle antenne, e «se una di esse ha fame o sete, e sopra tutto se l'altra ha lo stomaco pieno…, essa gli domanda immediatamente del nutrimento». La formica, così sollecitata non rifiuta mai; essa apre le sue mandibole, si mette in posizione e rigurgita una goccia di liquido trasparente che è tosto leccato dalla formica affamata. Questo rigurgito dell'alimento fatto per gli altri è un tratto caratteristico della vita delle formiche in libertà, ed esse vi ricorrono così costantemente per nutrire delle compagne affamate e per alimentare le larve, che Forel considera il tubo digestivo delle formiche come formato di due parti distinte, delle quali l'una, la posteriore, serve all'uso speciale dell'individuo, e l'altra, l'anteriore, serve principalmente ad uso della comunità. Se una formica che ha il gozzo pieno è stata tanto egoista da rifiutarsi di nutrire una compagna, essa sarà trattata come una nemica o ancor peggio. Se il rifiuto è stato fatto mentre le sue compagne si accingevano a battersi contro qualche altro gruppo di formiche, esse ritorneranno e si getteranno sulla formica ingorda con una violenza ancor più grande di quella usata sulle stesse nemiche. E se una formica non ha rifiutato di nutrirne un'altra, appartenente ad una specie diversa, essa sarà trattata da amica delle compagne di quest'ultima. Tutti questi fatti sono confermati dalle più accurate osservazioni e dalle più definitive esperienze.

In questa immensa categoria del regno animale che comprende più di mille specie, ed è così numerosa che i Brasiliani pretendono che il Brasile appartenga alle formiche e non agli uomini, la concorrenza fra i membri di uno stesso formicaio, o di una stessa colonia di formicai, non esiste. Per quanto terribili siano le guerre tra le diverse specie, e nonostante le atrocità commesse in tempo di guerra, il mutuo appoggio nella comunità, l'abnegazione dell'individuo passata allo stato di abitudine, e molto spesso il sacrificio dell'individuo per il benessere comune, sono la regola. Le formiche e le termiti hanno ripudiato la «legge di Hobbes» sulla guerra, e se ne trovano più che bene. Le loro meravigliose abitazioni, le loro costruzioni relativamente più grandi di quelle dell'uomo; le loro sale e granai speciali; i loro campi di grano, i loro raccolti, i loro preparativi per trasformare i grani in malto; i loro metodi razionali per curare le uova e le larve, e per costruire nidi speciali destinati all'allevamento degli afidi, che Linneo ha descritti così pittorescamente come le «vacche delle formiche»; infine il loro coraggio, la loro prontezza e la loro alta intelligenza, tutto ciò è il naturale risultato del mutuo appoggio, che esse praticano in tutti i gradi della loro vita attiva e laboriosa. Inoltre, questo modo di vivere ha avuto necessariamente per risultato un altro tratto essenziale della vita delle formiche: il grande sviluppo dell'iniziativa individuale che, a sua volta, ha messo capo allo sviluppo di questa intelligenza elevata e varia della quale ogni osservatore rimane colpito.

Se non conoscessimo altri fatti della vita animale di quelli che sappiamo delle formiche e delle termiti, potremmo già concludere con certezza che il mutuo appoggio (che conduce alla reciproca fiducia, prima condizione del coraggio) e l'iniziativa individuale (prima condizione del progresso intellettuale) sono due fattori infinitamente più importanti della lotta reciproca nell'evoluzione del regno animale. Ed infatti la formica prospera senza aver alcuno degli organi di protezione dei quali si possono valere gli animali che vivono isolati. Il suo colore la rende molto visibile ai suoi nemici, e gli alti formicai che molte specie costruiscono sono molto in vista nelle praterie e nelle foreste. La formica non è protetta da un guscio duro, e il suo pungiglione, benché dannoso quando centinaia e centinaia di punture forano la carne di un animale, non è di grande valore come difesa individuale; tanto che le uova e le larve delle formiche sono un cibo per un gran numero di abitanti delle foreste. Tuttavia le formiche, unite in società, sono poco distrutte dagli uccelli, e nemmeno dai formichieri, e sono temute da insetti molto più forti. Forel, vuotando un sacco pieno di formiche in una prateria, vide i grilli fuggire, abbandonando le loro tane al saccheggio delle formiche; le cicale, i grilli, ecc., salvarsi in tutte le direzioni; i ragni, gli scarabei e gli stafilini abbandonare la loro preda per non diventare prede essi stessi. Anche i nidi di vespe furono occupate dalle formiche, dopo una battaglia nella quale molte formiche perirono per la comune salvezza. Anche gli insetti più vivaci non possono sfuggire, e Forel vide più volte delle farfalle, delle zanzare, delle mosche, ecc., sorprese ed uccise dalle formiche. La loro forza è nella mutua assistenza e nella reciproca fiducia. E se la formica – a parte le termiti, di uno sviluppo ancora più elevato – si trova alla cima di tutta la classe degli insetti per le sue capacità intellettuali; se il suo coraggio non è eguagliato che da quello dei più coraggiosi vertebrati; e se il suo cervello – per usare le parole di Darwin «è uno dei più meravigliosi atomi di materia del mondo, forse ancor più del cervello dell'uomo», non è ciò dovuto a questo fatto che il mutuo appoggio ha interamente sostituita nella comunità delle formiche la lotta reciproca?

Il mutuo appoggio nelle città del Medioevo

I risultati di questo nuovo progresso dell'umanità nella città del Medioevo furono immensi. Al principio del secolo XI le città d'Europa erano piccoli gruppi di capanne miserabili, ornati solamente di chiese basse e tozze delle quali il costruttore sapeva appena come fare la volta; le arti – non vi erano altro che tessitori e fabbri-ferrai – erano nella infanzia; il sapere non si trovava che in qualche raro monastero. Trecentocinquant'anni più tardi la faccia d'Europa era mutata. Il territorio era sparso di ricche città, circondate da spesse mura, ornate di torri e di porte, delle quali ciascuna era un'opera d'arte. Le cattedrali, d'uno stile pieno di grandezza e decorate con abbondanza, innalzavano verso il cielo i loro campanili d'una purezza di forma e d'un ardire di immaginazione che noi ci sforzeremmo inutilmente di raggiungere oggi. Le arti ed i mestieri avevano raggiunto un grado di perfezione in molte manifestazioni che non possiamo vantarci di aver superate, se stimiamo l'abilità inventiva dell'operaio e la perfezione del suo lavoro, più che la rapidità nella esecuzione. Le navi delle città libere solcavano in tutte le direzioni i mari interni d'Europa; uno sforzo di più ed andranno attraverso gli oceani. Su grandi spazi di territorio il benessere aveva sostituito la miseria; il sapere erasi sviluppato, diffuso. I metodi scientifici s'elaboravano, le basi della fisica erano state poste, e le vie erano aperte per tutte le invenzioni meccaniche delle quali il nostro secolo è così orgoglioso. Tali furono i cambiamenti magici compiuti in Europa in meno di quattrocento anni. E se ci si vuol rendere conto delle perdite sofferte per la distruzione delle città libere, occorre raffrontare il secolo XVII con il XIV o il XIII. La prosperità che caratterizzava in altri tempi la Scozia, la Germania, le pianure d'Italia è scomparsa; le strade sono cadute nell'abbandono; le città sono spopolate, il lavoro è asservito, l'arte è in decadenza, il commercio stesso declina.

Se le città del Medioevo non ci avessero lasciato nessun monumento scritto a testimonianza del loro splendore, e non avessero lasciato che i monumenti d'architettura che vediamo ancora oggi in tutta Europa, dalla Scozia all'Italia e da Girona in Spagna fino a Breslavia in territorio slavo, potremmo affermare che il periodo in cui le città ebbero vita indipendente fu quello del più grande sviluppo dello spirito umano dall'era cristiana al XVIII secolo. Se guardiamo, ad esempio, un quadro del Medioevo rappresentante Norimberga con le sue torri, i suoi campanili slanciati, di cui ciascuno porta l'impronta di un'arte liberamente creatrice, possiamo appena concepire che trecento anni prima la città era un ammasso di misere capanne. E la nostra ammirazione non fa che crescere, quando entriamo nei particolari dell'architettura e dei fregi di ciascuna delle innumerevoli chiese, campanili, case municipali, porte di città, ecc., che troviamo in Europa, tanto lontano verso l'est come la Boemia e le città, morte oggidì, della Galizia polacca. Non solo l'Italia, patria delle arti, ma tutta Europa è coperta di questi monumenti. Il fatto stesso che fra tutte le arti, l'architettura – arte sociale per eccellenza – ha toccato il suo più alto sviluppo, è significativo. Per arrivare al grado di perfezione che ha raggiunto, quest'arte ha dovuto essere il prodotto d'una vita eminentemente sociale.

L'architettura del Medioevo ha raggiunto la sua grandezza non soltanto, perché fu il fiorire spontaneo di un mestiere, come si è detto recentemente; non soltanto perché ogni costruzione, ogni decorazione architettonica era l'opera d'uomini che conoscevano con l'esperienza delle loro proprie mani gli effetti artistici che si possono ottenere dalla pietra, dal ferro, dal bronzo, od anche da semplici travi e calcina; non soltanto perché ogni monumento era il risultato dell'esperienza collettiva accumulata in ciascun «mistero» o mestiere – l'architettura medioevale fu grande, perché nata da una grande idea. Come l'arte greca, essa scaturì da una concezione di fratellanza e di unità generata dalla città. Aveva un'audacia che non può acquistarsi che con le lotte audaci e le vittorie; esprimeva il vigore, perché il vigore impregnava tutta la vita della città. Una cattedrale, una casa comunale simboleggiavano la grandezza d'un organismo di cui ciascun muratore e ciascun tagliatore di pietra era un costruttore; e un monumento del Medioevo non appariva mai uno sforzo saltuario, dove migliaia di schiavi avrebbero eseguita la parte assegnata ad essi dalla immaginazione d'un solo uomo – tutta la città vi aveva contribuito. L'alto campanile s'alzava su una costruzione che aveva della grandezza in se stessa, nella quale si poteva sentir palpitare la vita della città; non era una costruzione assurda come la torre in ferro di 300 metri di Parigi, né una fabbrica in pietra fatta per nascondere la bruttezza d'una armatura di ferro come la Tower Bridge a Londra. Come l'Acropoli d'Atene, la cattedrale di una città del Medioevo era innalzata con l'intenzione di glorificare la grandezza della città vittoriosa, di simboleggiare l'unione delle sue arti e mestieri, di esprimere la fierezza di ogni cittadino in una città che era la sua propria creazione. Spesso, compiuta la seconda rivoluzione dei giovani mestieri, si vide la città incominciare una nuova cattedrale al fine d'esprimere l'unione nuova, più larga, più vasta, chiamata allora alla vita.

I mezzi dei quali disponevasi per queste grandi imprese erano di una modicità stupefacente. La cattedrale di Colonia fu cominciata con una spesa annuale di soli 500 marchi: un dono di 100 marchi fu inscritto come una grande donazione; ed anche quando i lavori avvicinavansi al termine ed i doni affluivano ognor più, la spesa annuale in denaro restò di circa 5000 marchi e non eccedette mai i 14 mila. La cattedrale di Basilea fu pure costruita con risorse così modiche. Ma le corporazioni contribuivano con pietre, con lavori ed invenzioni decorative al loro monumento comune. Ogni corporazione vi esprimeva i suoi principî politici, raccontava in bronzo ed in pietra la storia della città, glorificando i principî di «Libertà, Uguaglianza e Fratellanza», lodando gli alleati della città e votando i suoi nemici al fuoco eterno. Ogni corporazione attestava il suo amore al monumento comunale decorandolo di vetrate, di pitture, di «cancelli degni d'essere le porte del Paradiso» come disse Michelangelo, o decorando di sculture di pietra i più piccoli angoli dell'edificio. Piccole città, anche piccole parrocchie rivaleggiavano con le grandi agglomerazioni in questi lavori, e le cattedrali di Laon e di Sant-Ouen la cedono di poco a quella di Reims, o alla casa del comune di Brema, od al campanile dell'assemblea del popolo di Breslavia. «Nessuna opera deve essere intrapresa dal comune se non è concepita secondo il gran cuore del comune, composto dai cuori di tutti i cittadini, uniti in una comune volontà» – tali sono le parole del Consiglio di Firenze; e questo spirito appariva bene in tutte le opere comunali di utilità sociale: i canali, le terrazze, i vigneti, i giardini ed i frutteti intorno a Firenze, o i canali irrigatori che solcano le pianure della Lombardia, o il porto e l'acquedotto di Genova, in breve, tutti i lavori di questo genere furono compiuti dalla unanimità dei cittadini, in ogni città.

Tutte le arti avevano progredito nella stessa maniera nelle città del Medioevo. Le arti del nostro tempo non sono nella maggior parte che una continuazione di quelle che si erano allora sviluppate. La prosperità delle città fiamminghe era basata sulla fabbricazione dei bei tessuti di lana. Firenze al cominciare del XIV secolo, prima della peste nera, fabbricava dai 70.000 a 100.000 panni di lana, che erano valutati 1.200.000 fiorini oro. La cesellatura dei metalli preziosi, l'arte del fonditore, i bei ferri lavorati furono creazioni dei «misteri» del Medioevo, che riuscirono ad eseguire ciascuno nel proprio campo tutto ciò che era possibile fare con la mano, senza l'aiuto di un potente motore.

Con la mano e con l'invenzione, per servirci delle parole del Whewell: «La pergamena e la carta, la stampa e la incisione, il vetro e l'acciaio perfezionati, la polvere da cannone, gli orologi, i telescopi, la bussola, il calendario riformato, la notazione decimale, l'algebra, la trigonometria, la chimica, il contrappunto (invenzione che equivale ad una nuova creazione della musica), tutte queste cognizioni ci vengono da ciò che è chiamato con tanto disprezzo il Periodo stazionario» (History of Inductive Sciences, I, 252).


Alla fine del XVIII secolo, i re nell’Europa centrale, il Parlamento nelle Isole Britanniche, e la Convenzione rivoluzionaria in Francia, benchè tutti questi paesi fossero in guerra gli uni contro gli altri, erano d’accordo tra loro per dichiarare che nessuna unione distinta tra cittadini dovesse esistere nello Stato; che i lavori forzati o la morte erano i soli castighi che convenissero ai lavoratori che osassero entrare nelle «coalizioni». «Nessun Stato nello Stato!». Lo Stato soltanto e la Chiesa di Stato dovevano occuparsi dell’interesse generale, mentre i sudditi dovevano rappresentare indeterminate agglomerazioni di individui, senza nessun legame speciale, obbligati a fare appello al governo ogni volta che potevano sentire una comune necessità.

Fino alla metà del XIX secolo, questa fu la teoria e la pratica nell’Europa. Si guardavano con diffidenza fin’anche le società commerciali ed industriali. Quanto ai lavoratori, le loro associazioni erano trattate come illegali in Inghilterra fino alla metà del XIX secolo e nel resto d’Europa fino a questi ultimi vent’anni.

Tutto il sistema della nostra educazione di Stato fu tale che fino all’epoca attuale, anche in Inghilterra, gran parte della società considerò come una misura rivoluzionaria la concessione di quei medesimi diritti che ciascuno, fosse egli uomo libero o servo, esercitava cinquecento anni fa nell’assemblea popolare del suo villaggio, nella corporazione, nella parrocchia, nella città.

L’assorbimento di tutte le funzioni sociali da parte dello Stato favorì necessariamente lo svolgersi di un individualismo sfrenato, ed insieme limitato nelle sue vedute. A misura che il numero delle obbligazioni verso lo Stato andava crescendo, i cittadini si sentivano dispensati dalle obbligazioni degli uni verso gli altri. Nella corporazione – e nel Medioevo, ciascuno apparteneva ad una corporazione o fratellanza – due «fratelli» erano obbligati a vegliare ciascuno alla sua volta il fratello che era caduto malato; oggi si considera come sufficiente il dare al vicino l’indirizzo dell’ospedale pubblico più prossimo. Nella società barbara, il solo fatto dell’assistere ad un combattimento tra due uomini, sopravvenuto in conseguenza d’una lite, e non impedire che avesse uno scioglimento funesto, esponeva a persecuzioni come assassino; ma con la teoria dello Stato protettore di tutti, lo spettatore non ha il dovere di mischiarsene: c’è l’agente della polizia che interviene, o no. E mentre in paese selvaggio, presso gli Ottentotti, per esempio, sarebbe scandaloso mangiare senza aver chiamato ad alta voce tre volte per domandare se c’è qualcuno che desideri prender parte del vostro cibo, tutto ciò che un rispettabile cittadino deve fare oggi, è di pagare le imposte e di lasciare che gli affamati se la cavino come possono.

Così la teoria, secondo la quale gli uomini cercano la loro felicità nel disprezzo dei bisogni degli altri, trionfa oggi su tutta la linea: nel diritto, nella scienza, nella religione. È la religione del giorno, e dubitare della sua efficacia è essere un pericoloso utopista. La scienza proclama che la lotta di ciascuno contro tutti è il principio dominante della natura, come delle società umane. La biologia attribuisce a questa lotta l’evoluzione progressiva del mondo animale. La storia adotta il medesimo punto di vista, e gli economisti, nella loro candida ignoranza, attribuiscono il progresso dell’industria e della meccanica moderna ai «meravigliosi effetti» dello stesso principio. Anche la religione dei predicatori della Chiesa è una religione d’individualismo, leggermente mitigata da rapporti più o meno caritatevoli verso il prossimo, particolarmente la domenica. Uomini di azione «pratica» e teorici, uomini di scienza e predicatori religiosi, uomini di legge e politicanti, tutti sono concordi su di un punto: l’individualismo, dicono, può ben essere più o meno addolcito nelle sue conseguenze più aspre mediante la carità, ma resta la sola base certa per la conservazione della società ed il suo progresso ulteriore.