Internazionale - Sommersi dal cemento

Da Sotto le querce.

Internazionale-N1300-29-Marzo-2019---Sommersi-dal-cemento-1.jpg

Internazionale
Sommersi dal cemento

Dopo l’acqua, il cemento è la sostanza più usata sul pianeta. Per molto tempo si è pensato che i suoi vantaggi economici fossero superiori ai rischi ambientali. Oggi sappiamo che non è così, ma non riusciamo comunque a farne a meno.

Testo di Jonathan Watts, Fotografie di Mark Power - The Guardian, Internazionale 29 marzo 2019


Rinforzi di cemento su una collina vicino a Saito, in Giappone, aprile 2000.
Internazionale-N1300-29-Marzo-2019---Sommersi-dal-cemento-1.jpg
Rinforzi di cemento su una collina vicino a Saito, in Giappone, aprile 2000.

Jonathan Watts

Internazionale (The Guardian) 29 marzo 2019

Dopo l’acqua, il cemento è la sostanza più usata sul pianeta. Per molto tempo si è pensato che i suoi vantaggi economici fossero superiori ai rischi ambientali. Oggi sappiamo che non è così, ma non riusciamo comunque a farne a meno.

Nel tempo che impiegherete per leggere questa frase, in tutto il mondo sarà stato versato tanto cemento da riempire 19mila vasche da bagno. Quando sarete arrivati a metà dell’articolo, il cemento avrà riempito la Royal Albert Hall di Londra e starà per riversarsi su Hyde park. In un solo giorno avrà quasi raggiunto l’altezza della diga delle Tre gole, in Cina. In un anno potrebbe ricoprire ogni collina, ogni vallata, ogni angolo e ogni fessura d’Inghilterra.

Dopo l’acqua, il cemento è la sostanza più usata sulla Terra. Se fosse un paese, l’industria del cemento sarebbe il terzo per emissione di anidride carbonica al mondo, dietro alla Cina e agli Stati Uniti. Questo materiale è la base dello sviluppo moderno: ha messo un tetto sopra la testa di miliardi di persone, ha rafforzato le nostre difese contro le calamità naturali e ha permesso di realizzare strutture per la sanità, l’istruzione, i trasporti e l’energia.

Il cemento rappresenta il nostro tentativo di domare la natura. Ci protegge la testa dalla pioggia, le ossa dal freddo e i piedi dal fango. Allo stesso tempo, però, copre vasti tratti di terreno fertile, ostruisce i fiumi, soffoca la natura e, agendo come una seconda pelle dura come una roccia, ci rende insensibili rispetto a quello che succede fuori dalle nostre fortezze urbane. Minuto dopo minuto, il nostro pianeta blu e verde diventa sempre più grigio. Secondo alcune stime, potremmo aver già superato il punto in cui il cemento supera il totale della massa di carbonio di ogni albero, cespuglio e arbusto della Terra. Il nostro ambiente fatto di cemento sta prendendo il sopravvento su quello naturale. Ma a differenza del mondo naturale, il mondo costruito non cresce, e anzi tende a indurirsi e a degradarsi.

Negli ultimi sessant’anni abbiamo prodotto otto miliardi di tonnellate di plastica. Per produrre la stessa quantità di materiale, l’industria del cemento ci mette meno di due anni. Ma anche se il cemento è un problema più grande della plastica, è generalmente considerato meno grave. Il cemento non deriva da combustibili fossili. Non finisce nello stomaco delle balene né nel nostro sangue. Non resta impigliato nei rami e non intasa le condutture delle nostre città. Al contrario, lo apprezziamo per la sua solidità e la sua resistenza. È per questo che è un fondamento della vita moderna: perché tiene a bada il tempo, la natura, gli elementi e l’entropia. Quando si combina con l’acciaio, il cemento tiene in piedi le dighe e i grattacieli, dà stabilità alle strade e fa in modo che le reti elettriche rimangano in funzione.

In un’epoca di cambiamenti destabilizzanti, la solidità è una qualità particolarmente attraente. Ma come ogni cosa buona usata in eccesso, può creare più problemi di quanti ne risolva.

A volte il cemento è un alleato inflessibile, altre volte un falso amico: può resistere per decenni alle forze della natura e poi amplificarne improvvisamente l’impatto. Prendete le inondazioni di New Orleans dopo l’uragano Katrina e di Houston dopo Harvey: hanno avuto effetti disastrosi perché le strade non sono riuscite ad assorbire la pioggia come sono capaci di fare le pianure alluvionali; inoltre le strutture di drenaggio si sono rivelate tragicamente inadeguate a fronteggiare fenomeni estremi tipici della nostra epoca.

Internazionale-N1300-29-Marzo-2019---Sommersi-dal-cemento-3.jpg

Una cava a Nobeoka, in Giappone, aprile 2000.

Dopo le bombe

Il cemento amplifica fenomeni climatici estremi, anche quando serve a proteggerci. C’è chi sostiene che, tenendo conto di tutte le fasi della sua produzione, il calcestruzzo cementizio sia responsabile di una quota compresa tra il 4 e l’8 per cento delle emissioni mondiali di anidride carbonica: di tutti i materiali esistenti, solo il carbone, il petrolio e il gas ne producono di più.

Ci sono anche altri effetti sull’ambiente. Il calcestruzzo è come un mostro assetato che trangugia quasi un decimo di tutta l’acqua usata in tutti i settori industriali in tutto il mondo. Considerando che il 75 per cento di questo consumo avviene in regioni a rischio di siccità, in molti casi la produzione di calcestruzzo fa ridurre le risorse d’acqua, sia quella potabile sia quella usata per irrigare. Nelle città il cemento peggiora l’effetto isola di calore, cioè il fenomeno che produce un microclima più caldo nelle aree urbane, perché assorbe i raggi solari e intrappola i gas di scarico delle automobili.

Il cemento rende più gravi le malattie respiratorie. A New Delhi la polvere che si alza dai cumuli di materiali usati per realizzarlo e dalle betoniere contribuisce per il 10 per cento al particolato che soffoca la città. Anche le cave di calcare e i cementifici possono essere fonti d’inquinamento, così come i camion che trasportano i materiali.

Il prelievo di sabbia, che comporta la distruzione di spiagge e corsi d’acqua, può essere catastrofico. E questo ci porta all’effetto più dannoso ma meno studiato: il cemento distrugge le infrastrutture naturali senza sostituire le funzioni ecologiche su cui l’umanità fa affidamento per la fertilizzazione, l’impollinazione, il controllo delle inondazioni, la produzione di ossigeno e la depurazione dell’acqua.

Internazionale-N1300-29-Marzo-2019---Sommersi-dal-cemento-4a.png

Il cemento può portare molto in alto la nostra civiltà, ma contribuisce a rendere più pesante l’impronta umana sugli habitat naturali. La crisi della biodiversità, che a detta di molti studiosi non è meno pericolosa del cambiamento climatico, è causata principalmente dalla conversione delle terre incolte in terre coltivate, in impianti industriali e in edifici residenziali.

L’umanità per secoli ha accettato questo inconveniente ambientale in cambio degli indubbi benefici del cemento, ma ora la bilancia sembra pendere dall’altra parte.

Il calcestruzzo è un composto di sabbia, aggregati (di solito ghiaia o ciottoli) e acqua, mescolati con un legante – il cemento – a base di calcare cotto in una fornace. La moderna forma industrializzata del legante, detta cemento Portland, fu brevettata nel 1824 a Leeds da Joseph Aspdin. Fu poi combinata con barre d’acciaio per creare il cemento armato usato nella costruzione dei grattacieli art déco, come l’Empire State Building di New York. Dopo la seconda guerra mondiale furono versati fiumi di cemento, un modo semplice ed economico per ricostruire le città devastate dai bombardamenti. Quello fu anche il periodo dell’architettura brutalista, come quella di Le Corbusier, e in seguito delle curve futuristiche e libere di Oscar Niemeyer e delle linee eleganti di Tadao Andō. Nel 1950 la produzione di cemento era pari a quella dell’acciaio, ma da allora è aumentata di 25 volte, cioè più del triplo rispetto al suo compagno metallico.

Il dibattito sull’estetica tende a polarizzarsi: da una parte ci sono i tradizionalisti come il principe Carlo, che una volta ha definito il Tricorn Centre, progettato dall’architetto brutalista Owen Luder, “una massa di escrementi di elefante ammuffiti”; dall’altra ci sono i modernisti, che considerano il cemento un mezzo per rendere accessibili alle masse lo stile, le dimensioni e la forza.

Poi c’è l’aspetto politico. Legando tra loro politici, burocrati e aziende, il cemento crea un vincolo quasi impossibile da sciogliere. I leader di partito hanno bisogno delle donazioni e delle bustarelle delle imprese per essere eletti; i governi hanno bisogno di nuovi progetti per far crescere l’economia e i costruttori hanno bisogno di contratti per continuare a guadagnare e conservare la loro influenza politica. Questo spiega l’entusiasmo nei confronti di progetti come le Olimpiadi, i Mondiali e le esposizioni internazionali, eventi molto discutibili dal punto di vista ambientale e sociale.

L’esempio classico è il Giappone, che dopo la seconda guerra mondiale ha puntato con entusiasmo sul cemento. All’inizio era semplicemente un materiale economico per ricostruire le città devastate dalle bombe incendiarie e atomiche, poi il cemento diventò la base di un nuovo modello di sviluppo economico rapidissimo: nuovi binari ferroviari per i treni ad alta velocità, nuovi ponti e gallerie per le autostrade sopraelevate, nuove piste per gli aeroporti, nuovi stadi, nuovi municipi e scuole.

Tutto questo garantì tassi di crescita economica a doppia cifra fino alla fine degli anni ottanta, determinando un alto tasso di occupazione e consentendo al Partito liberaldemocratico di restare al potere. I pesi massimi della politica giapponese di quell’epoca, personaggi come Kakuei Tanaka, Yasuhiro Nakasone e Noboru Takeshita, venivano giudicati in base alla capacità di portare grandi progetti edilizi nelle loro città d’origine. A quel tempo le tangenti erano la norma, e una parte andava anche ai gangster della yakuza, che facevano da intermediari e si assicuravano che gli accordi fossero rispettati. Le sei principali imprese di costruzione formavano una sorta di monopolio che permetteva di ottenere contratti vantaggiosi e pagare grosse tangenti ai politici.

Arroganza smascherata

Ma c’è un limite al cemento che si può usare senza danneggiare l’ambiente. Negli anni novanta, quando anche i politici più creativi avevano difficoltà a giustificare l’aumento della spesa pubblica, si è capito che il cemento era sempre meno vantaggioso. In quel periodo furono costruiti a caro prezzo ponti che collegavano il centro del Giappone con regioni poco abitate, e strade a più corsie tra piccole comunità rurali; furono cementate le poche sponde di fiumi rimaste allo stato naturale e si riversò cemento per costruire dighe marittime che avrebbero dovuto proteggere il 40 per cento della costa giapponese.

Nel libro Dogs and demons, del 2002, lo scrittore Alex Kerr, che vive in Giappone, denunciava la cementificazione delle sponde dei fiumi e delle pendici delle alture fatta con l’idea di prevenire le inondazioni e gli smottamenti. I costosissimi progetti edilizi sovvenzionati dal governo, ha detto Kerr in un’intervista del 2002, “hanno inflitto danni enormi a montagne, fiumi, torrenti, laghi e zone umide. Questa è la realtà del Giappone moderno”.

Kerr spiegava anche che in Giappone la quantità di calcestruzzo usato per metro quadrato era trenta volte superiore a quella degli Stati Uniti, e che il volume complessivo era quasi lo stesso: “Stiamo parlando di un paese grande come la California che impiega la stessa quantità di calcestruzzo di tutti gli Stati Uniti”. Nel frattempo i tradizionalisti e gli ambientalisti erano inorriditi. La cementificazione del Giappone andava contro i classici ideali di armonia con la natura e apprezzamento del valore dell’impermanenza (mujo). Tuttavia, quei progetti esteticamente così brutti erano giustificati dal timore di terremoti e tsunami. Questo ha reso ancora più sconvolgente il devastante terremoto e lo tsunami che hanno colpito la regione di Tōhoku nel 2011. Nelle città costiere di Ishinomaki, Kamaishi e Kitakami, le enormi dighe marittime costruite nel corso di decenni sono state sommerse nel giro di pochi minuti. Quasi 16mila persone sono morte, un milione di edifici sono stati distrutti o danneggiati, le arterie cittadine sono state ostruite dalle imbarcazioni arenate e le acque portuali si sono riempite di automobili galleggianti. Le cose sono andate peggio a Fukushima, dove l’acqua ha travolto le difese esterne della centrale nucleare di Daiichi e ha provocato un incidente di livello 7 sulla scala Ines (la scala a cui si fa riferimento per valutare la gravità degli eventi nucleari. Il livello più grave è 7).

Oggi la Cina usa quasi la metà del cemento prodotto in tutto il mondo.

È successo, in poche parole, che l’arroganza umana è stata smascherata dalle forze della natura. Eppure la lobby del cemento si è dimostrata ancor più forte. Un anno dopo lo tsunami il Partito liberaldemocratico è tornato al potere con la promessa di aumentare la spesa per le opere pubbliche. Le aziende hanno ricevuto di nuovo l’ordine di trattenere il mare, stavolta con dighe ancor più alte e spesse. I vantaggi di avere barriere simili sono discutibili: gli ingegneri sostengono che queste pareti di cemento alte dodici metri potranno fermare o almeno rallentare gli tsunami, ma i giapponesi hanno già sentito promesse simili. Inoltre l’area protetta dalle dighe ha perso molto del suo valore umano, ora che le terre si sono in gran parte spopolate e sono state riconvertite in risaie e allevamenti ittici.

Oggi perfino i giapponesi terrorizzati dalla possibilità di un nuovo tsunami odiano quelle muraglie di cemento che li dividono dall’oceano. “Ci sembra di essere in prigione anche se non abbiamo fatto niente di male”, ha detto alla Reuters un pescatore di ostriche. “Il mare non si vede più”, ha denunciato Tadashi Ono, il fotografo di Tokyo che ha scattato alcune delle immagini più forti delle nuove strutture. “La ricchezza della nostra civiltà è dovuta al contatto con l’oceano”, ha osservato. “Il Giappone ha sempre vissuto con il mare, dal mare siamo stati protetti. Ma ora il governo giapponese ha deciso di murarlo”.

In questo c’è una componente di inevitabilità. In tutto il mondo il cemento è diventato sinonimo di sviluppo. In teoria il progresso umano è misurato da una serie di indicatori economici e sociali, come l’aspettativa di vita, la mortalità infantile e i livelli di istruzione. Ma per i leader politici il parametro di gran lunga più importante è il prodotto interno lordo, un’unità di misura dell’attività produttiva che spesso è considerata l’indice delle dimensioni di un’economia. I governi valutano il peso del loro paese nel mondo in base al pil. E niente fa crescere un’economia come il cemento.

Questo vale per tutti gli stati a un certo punto del loro sviluppo. Nelle prime fasi i grandi progetti di costruzione sono utili perché servono a rafforzare l’economia, come quando un pugile si allena per aumentare i muscoli. Ma per le economie già mature questi progetti sono dannosi, come se un vecchio atleta continuasse ad assumere steroidi sempre più forti che gli fanno sempre meno effetto. Durante la crisi finanziaria asiatica del 1997-1998 i consulenti economici keynesiani dissero al governo giapponese che il modo migliore per stimolare la crescita del pil era scavare un buco nel terreno e riempirlo, preferibilmente di cemento. Più grande era il buco e meglio era. Avrebbe portato profitti e posti di lavoro.

Internazionale-N1300-29-Marzo-2019---Sommersi-dal-cemento-5a.png

Naturalmente sarebbe meglio incoraggiare un paese a fare qualcosa che migliori le condizioni di vita della popolazione, ma è probabile che il cemento rientri comunque nel pacchetto. Negli anni trenta del novecento quest’idea fu alla base del new deal di Roosevelt negli Stati Uniti: un progetto che è per tutti un modello per combattere la recessione, ma potrebbe anche essere descritto come la più grande colata di cemento mai versata fino a quel momento. Solo per la diga Hoover, tra Arizona e Nevada, ne servirono 3,3 milioni di metri cubi, un record assoluto per l’epoca.

Internazionale-N1300-29-Marzo-2019---Sommersi-dal-cemento-4.jpg

Danzica, Polonia, novembre 2004.

Il dominio di Pechino

Ma non era niente rispetto a quello che sta facendo oggi la Cina, la superpotenza del cemento del ventunesimo secolo e l’esempio più lampante di come un materiale può trasformare una cultura (l’intreccio tra civiltà e natura) in un’economia (un’unità di produzione ossessionata dalle statistiche sul pil). Il passaggio incredibilmente veloce della Cina da paese in via di sviluppo a superpotenza ha richiesto montagne di cemento, intere spiagge di sabbia e laghi. Dal 2003 a oggi Pechino ha prodotto più cemento ogni tre anni di quanto abbiano fatto gli Stati Uniti in tutto il novecento.

Oggi la Cina usa quasi la metà del cemento prodotto in tutto il mondo. Nel 2017 il settore delle costruzioni – strade, ponti, ferrovie, sviluppo urbano e altri progetti basati sull’acciaio e sul cemento – rappresentava un terzo della sua espansione economica.

Ma anche la Cina, com’è successo agli Stati Uniti, al Giappone, alla Corea del Sud e a tutti gli altri paesi che si sono “sviluppati”, sta arrivando al punto in cui continuare a usare cemento fa più male che bene. Centri commerciali fantasma, città semivuote e stadi giganteschi stanno lì a dimostrare che il paese sta sprecando soldi. Prendiamo il nuovo enorme aeroporto di Lüliang, che è stato inaugurato con solo cinque voli al giorno, o lo stadio olimpico a forma di nido costruito per le Olimpiadi del 2008, usato così poco che ormai è un monumento più che un luogo per eventi sportivi. Anche se in passato la frase “se costruisci qualcosa, poi la gente ci andrà” si è spesso dimostrata esatta, il governo cinese è preoccupato. Dopo che l’Istituto nazionale di statistica ha rivelato l’esistenza di 450 chilometri quadrati di spazi residenziali invenduti, il presidente Xi Jinping ha chiesto “l’annullamento” dei progetti di costruzione in eccesso.

Le strutture vuote e in rovina non sono solo un pugno in un occhio; sono anche un peso per l’economia e uno spreco di terreni produttivi. Costruzioni sempre più grandi richiedono nuove fabbriche di cemento e di acciaio, che fanno aumentare di più l’inquinamento e le emissioni di anidride carbonica. Come ha fatto notare l’architetto del paesaggio Yu Kongjian, questi progetti soffocano gli ecosistemi – terreni fertili, ruscelli che si autodepurano, paludi di mangrovie che resistono alle tormente, foreste che impediscono le alluvioni – dai quali dipende la vita gli esseri umani. Costituiscono una minaccia per quella che Yu chiama “ecosicurezza”.

Yu si è messo alla guida del movimento che cerca di eliminare il cemento per ripristinare gli argini dei fiumi e la vegetazione spontanea. Nel libro L’arte della sopravvivenza sostiene che la Cina si sta pericolosamente allontanando dall’ideale taoista di un rapporto armonico con la natura. “Il processo di urbanizzazione che stiamo realizzando ci sta portando alla morte”, ha detto.

Yu è stato anche consultato dalle autorità governative cinesi, che sono sempre più consapevoli della fragilità dell’attuale modello di sviluppo del paese ma hanno possibilità di intervento limitate. Il momento culminante di un’economia del cemento è sempre seguito da un periodo di stasi. Il presidente Xi ha promesso di spostare il fulcro dell’economia dall’industria pesante all’alta tecnologia per creare un “paese meraviglioso” e una “civiltà ecologica”, e ora il governo sta cercando di ridimensionare il più grande boom delle costruzioni della storia umana. Ma allo stesso tempo non può permettere che il settore scompaia del tutto, perché dà lavoro a 55 milioni di persone, quasi l’intera popolazione del Regno Unito. La Cina sta invece facendo quello che tantissimi paesi hanno già fatto: esportare il suo stress ambientale e le sue capacità produttive in eccesso.

La tanto decantata Belt and road initiative – la cosiddetta nuova via della seta, un progetto di investimenti infrastrutturali in altri paesi – prevede la costruzione di strade in Kazakistan, almeno quindici dighe in Africa, ferrovie in Brasile e porti in Pakistan, Grecia e Sri Lanka. Per fornire materiale a questi e altri progetti, la China National Building Material – la più grande produttrice di cemento del paese – ha annunciato la creazione di cento fabbriche in cinquanta paesi.

Primato brasiliano

Questo farà sicuramente aumentare le attività criminali. Oltre a essere la causa di un eccesso di edifici, l’industria delle costruzioni è anche il più grande canale di tangenti del mondo.

Secondo l’organizzazione non governativa Transparency international, il settore delle costruzioni è più incline alla corruzione di quello delle miniere, degli immobili, dell’energia o delle armi. Nessun paese è immune, ma negli ultimi anni le spettacolari dimensioni del problema sono emerse chiaramente in Brasile.

Come in altri paesi, inizialmente anche nel più grande stato del Sudamerica la smania di costruire è stata vista come un mezzo positivo per garantire sviluppo sociale, per poi trasformarsi in necessità economica e infine diventare uno strumento di potere politico e avidità personale. Il passaggio attraverso questi stadi è stato rapido. Il primo enorme progetto nazionale, alla fine degli anni cinquanta, fu quello per la costruzione della nuova capitale, Brasília, su un altopiano quasi disabitato nella zona interna del paese, dove in 41 mesi fu versato un milione di metri cubi di calcestruzzo per coprire il terreno e per costruire le case e i nuovi edifici che avrebbero ospitato i ministeri.

A questo lavoro fece seguito la costruzione di una nuova autostrada attraverso la foresta amazzonica – la TransAmazonia – e poi, a partire dal 1970, della diga Itaipu sul fiume Paraná, al confine con il Paraguay, la più grande centrale idroelettrica del Sudamerica, quasi quattro volte più grande della diga di Hoover. I funzionari brasiliani si vantano del fatto che con i suoi 12,3 milioni di metri cubi di calcestruzzo si potrebbero riempire 210 stadi grandi come il Maracanã di Rio de Janeiro. Un record imbattuto fino al 2006, quando è stata inaugurata la diga delle Tre gole in Cina, una colata di 27,2 milioni di metri cubi di cemento sul fiume Yangtze.

Con i militari al potere, la censura e nessuna autorità giudiziaria indipendente, non c’era modo di sapere quanti soldi fossero finiti nelle tasche dei generali e degli appaltatori brasiliani, ma il problema della corruzione è apparso fin troppo evidente a partire dal 1985, nell’era successiva alla dittatura, quando quasi tutti i partiti e politici erano coinvolti.

Anche se i rischi sono sempre più evidenti, questo schema continua a ripetersi.

Per molti anni il più famoso è stato Paulo Maluf, governatore dello stato di São Paulo, che aveva amministrato la città durante la costruzione della gigantesca strada sopraelevata ribattezzata Minhocão, che significa grande verme. Oltre ad assumersi il merito di quel progetto, cominciato nel 1969, Maluf avrebbe intascato in soli quattro anni un miliardo di dollari in tangenti legate a opere pubbliche, parte dei quali sono finiti su conti segreti alle Isole Vergini. Pur essendo ricercato dall’Interpol, Maluf è sfuggito alla giustizia per decenni e ha continuato a ricoprire incarichi pubblici. Questo grazie al grande cinismo della popolazione, riassumibile nella frase che si sente dire più spesso quando si parla di lui: “Ruba, ma almeno le cose le fa”, che potrebbe essere applicata a buona parte dei politici legati all’industria del cemento.

Internazionale-N1300-29-Marzo-2019---Sommersi-dal-cemento-7a.png

Ma la sua fama di uomo più corrotto del Brasile è stata messa in discussione quando è scoppiato il caso lava jato (autolavaggio), un’indagine sulla vasta rete di appalti truccati e riciclaggio di denaro sporco. Al cuore di questo grande sistema c’erano colossi del settore edile – come la Odebrecht, la Andrade Gutierrez e la Camargo Corrêa – che hanno pagato l’equivalente di 1,8 miliardi di euro in tangenti a politici, burocrati e mediatori in cambio di contratti gonfiati per la costruzione di raffinerie di petrolio, della diga di Belo Monte, degli stadi per i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016 e di decine di altre infrastrutture in tutta la regione. Secondo gli investigatori, la sola Odebrecht avrebbe versato tangenti a 415 politici e 26 partiti. A causa di queste rivelazioni è caduto un governo, un ex presidente del Brasile e il vicepresidente dell’Ecuador sono in prigione, il presidente del Perù è stato costretto a dimettersi e decine di altri politici e manager sono finiti dietro le sbarre. Lo scandalo ha toccato anche l’Europa e l’Africa. Il dipartimento di giustizia degli Stati Uniti lo ha definito “il più grande caso di tangenti della storia”. Così grande che quando Maluf è stato finalmente arrestato, nel 2017, quasi nessuno se ne è accorto.

Questo tipo di corruzione non è solo un furto ai danni dei contribuenti ma incoraggia anche i reati ambientali: per realizzare progetti di dubbia utilità sociale – come nel caso di Belo Monte – sono stati emessi nell’atmosfera miliardi di tonnellate di anidride carbonica, nonostante l’opposizione delle popolazioni locali e i timori di chi rilascia le autorizzazioni ambientali.

Pericoli noti

Anche se i rischi sono sempre più evidenti, questo schema continua a ripetersi. L’India e l’Indonesia stanno entrando ora nella fase dell’alta produzione di cemento per creare sviluppo economico. Nei prossimi quarant’anni le superfici costruite in tutto il mondo dovrebbero raddoppiare. Secondo alcuni, questo porterà una serie di vantaggi per la salute. Lo scienziato ambientale Vaclav Smil calcola che la sostituzione dei pavimenti in fango con quelli in cemento nelle case delle famiglie più povere potrebbe ridurre di circa l’80 per cento le malattie provocate dai parassiti. Ma ogni colata di cemento avvicina il mondo al collasso ecologico.

La Chatham house, l’istituto reale britannico per gli affari internazionali, prevede che l’urbanizzazione, l’aumento della popolazione e lo sviluppo economico faranno passare la produzione globale di cemento da 4 a 5 miliardi di tonnellate all’anno. Secondo la Commissione mondiale sull’economia e il clima, se i paesi in via di sviluppo incrementeranno le loro infrastrutture al ritmo medio globale di oggi, entro il 2050 il settore delle costruzioni emetterà 470 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.

Questo violerebbe l’accordo di Parigi sul clima, in base al quale, per evitare che l’aumento di temperatura del pianeta superi gli 1,5 o al massimo i 2 gradi, i governi si sono impegnati a ridurre le emissioni annuali provocate dall’industria del cemento di almeno il 16 per cento entro il 2030. Oltre al fatto che costituirebbe un peso enorme per gli ecosistemi che sono essenziali per il benessere umano.

Internazionale-N1300-29-Marzo-2019---Sommersi-dal-cemento-5.jpg

Harlan, Kentucky, 2015.

I pericoli sono noti a tutti. In un rapporto dello scorso anno, la Chatham house invita a ripensare i metodi di produzione del cemento. Per ridurre le emissioni, suggerisce di usare più energie rinnovabili, potenziare l’efficienza energetica, preferire sostituti del clinker (componente base per la produzione del cemento) ma, soprattutto, insiste sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio, anche se queste tecnologie sono costose e non sono ancora usate su scala commerciale.

Aumentare il riciclo

Gli architetti pensano che una soluzione potrebbe essere costruire edifici più snelli e, quando possibile, usare altri materiali, come il legno lamellare a strati incrociati. Secondo l’architetto Anthony Thistleton è ora di uscire dall’era del cemento e di smettere di pensare soprattutto all’estetica degli edifici. “Il cemento è un materiale bello e versatile ma ha tutti i requisiti per causare degrado ambientale”, ha dichiarato all’Architects Journal. “Abbiamo la responsabilità di riflettere su tutti i materiali che impieghiamo e sul loro impatto ambientale”.

Ma molti ingegneri sostengono che non c’è nessuna alternativa praticabile al cemento. L’acciaio, l’asfalto e il cartongesso consumano più energia del cemento, e il tasso di deforestazione del pianeta è già abbastanza allarmante senza che ci sia un aumento della domanda di legno.

Secondo Phil Purnell, esperto di materiali e strutture dell’università di Leeds, è improbabile che il mondo raggiunga un “punto limite” nella produzione di cemento. “ Il materiale grezzo è potenzialmente illimitato e finché costruiremo strade, ponti e qualsiasi altra cosa che richieda fondamenta la domanda ci sarà”, ha detto. “In base a quasi tutti i parametri è il materiale che richiede meno energia”. Purnell invita invece a conservare meglio le strutture esistenti e, quando non è possibile, ad aumentare il riciclo.

Attualmente la maggior parte del calcestruzzo dismesso va a finire nelle discariche o viene sbriciolato e riutilizzato come aggregato. Quel processo potrebbe essere fatto in modo più efficiente, dice Purnell, se le lastre contenessero etichette di identificazione così da combinare il materiale con le richieste. I suoi colleghi dell’università di Leeds stanno anche studiando alternative al cemento Portland. Miscele diverse potrebbero ridurne l’impronta di carbonio anche di due terzi, dicono.

Forse sarebbe ancora meglio cambiare un modello di sviluppo che tende a sostituire paesaggi naturali con paesaggi edificati e culture fondate sulla natura con economie basate sui dati. Per questo bisognerebbe smantellare le strutture di potere costruite sul cemento e riconoscere che la fertilità è una base migliore per la crescita rispetto alla solidità. ◆