Internazionale - L'ultima terra selvaggia

Da Sotto le querce.

Vedi anche: Peter Wohlleben, La saggezza del bosco    La Repubblica - Che meraviglie nel sottosuolo

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Internazionale
L’ultima terra selvaggia

La Romania ospita le ultime grandi foreste vergini d’Europa. Un patrimonio inestimabile minacciato dall’avidità e dalla corruzione.

Testo di Fritz Habekuss, fotografia di Matthias Schickhofer - Internazionale 14 dicembre 2018


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Fritz Habekuss

14 dicembre 2018

La Romania ospita le ultime grandi foreste vergini d’Europa. Un patrimonio inestimabile minacciato dall’avidità e dalla corruzione.

Quanto tempo è trascorso da quando l’ultimo essere umano ha percorso questo sentiero? Forse qualche mese, forse anni? Da quando è passato l’ultimo orso bruno, però, è passato solo qualche giorno. Sul terreno fangoso del bosco si riconoscono le orme lasciate dalle sue zampe e sulla corteccia di un faggio i solchi incisi dai suoi artigli. Ha pattugliato questo bosco come un vecchio re, fiutando l’aria e marcando il territorio, lasciando cadere qua e là grosse feci che odorano di mirtilli. È estate e nei Carpazi romeni cade da giorni una pioggia fittissima che rende molle il terreno. Un gruppo composto da guardie forestali, scienziati e ambientalisti parcheggia al termine di un sentiero. Da qui in poi dovranno procedere a piedi, seguendo una stretta via aperta dal passaggio di cervi, caprioli, volpi e orsi che s’inerpica su per il dorso della montagna. Dal fondo la salita non sembrava così ripida. Davanti a loro c’è la valle di Boia Mică, vasta, imperscrutabile e silenziosa. Non è un luogo per gli esseri umani, ma qualcosa che in Europa non esiste quasi più: una terra selvaggia. Un’ampia valle piena di faggi, dove non si è mai sentito il suono di una sega, dove non esistono le strade e le persone non sono che comparse, che presto torneranno da dove sono venute.

Un tempo il faggio dominava tutta l’Europa. Dodicimila anni fa, quando i ghiacciai si sciolsero al termine dell’ultima era glaciale, crebbero per prime le specie pioniere come il nocciolo e l’ontano. Presto furono soppiantate dalla quercia, che fu protagonista indiscussa per millenni ma alla fine fu a sua volta sostituita dal faggio. Quest’albero era sopravvissuto nel sud, dove il ghiaccio non era mai arrivato, e da lì si era difuso fino al cuore del continente. Qualche migliaio di anni fa anche la Germania era ricoperta per due terzi da fitte faggete. Nel medioevo quasi tutti gli alberi furono abbattuti. Il legno serviva per costruire le navi, per produrre il carbone e per ottenere la potassa che serviva a fare il vetro. Il concetto di sostenibilità fu elaborato per la prima volta nel 1713 da Hans Carl von Carlowitz, il sovrintendente minerario della Sassonia: i guardaboschi non dovevano sottrarre al bosco più legna di quanta ne potesse ricrescere. Era un’idea ispirata da motivi economici, non ecologici. Per il rimboschimento si sceglievano di solito alberi che crescono rapidamente.

Sono pochi i posti dove si può avere un’idea di come dovevano essere i boschi una volta. Ma in Europa c’è ancora qualche foresta vergine. Per vederle bisogna andare a est, in Polonia, in Ucraina e in Slovacchia, o meglio ancora in Romania. Nessun paese ha foreste vergini più grandi, e nessun paese le perde più rapidamente. Paradossalmente, questo succede proprio perché si cerca di proteggerle. Gli antichi boschi romeni sono una delle risorse naturali più preziose del continente europeo. E quasi nessuno sa che esistono.

Una vittoria inutile

I romeni hanno un rapporto complicato con la natura. Il paese è entrato nell’Unione europea nel 2007, e già parecchi anni fa gli ambientalisti organizzarono una mobilitazione contro il disboscamento, portato avanti soprattutto da aziende straniere come l’austriaca Schweighofer. Le proteste coinvolsero più di centomila cittadini e all’apparenza ebbero successo: il governo istituì un registro nazionale delle foreste che dovevano essere protette. Da allora sono passati più di sei anni e ancora non esiste una ricerca che stabilisca una volta per tutte quali aree vadano classificate come foreste vergini. La commissione del ministero delle foreste che gestisce il registro si occupa soprattutto delle autorizzazioni al disboscamento. Così le aree tutelate ammontano solo a 21mila ettari, circa un decimo delle aree forestali stimate. E visto che le motoseghe non si fermano, anno dopo anno nuove porzioni di foresta spariscono per sempre.

Nel frattempo il gruppo che percorre la valle di Boia Mică ha raggiunto il crinale della montagna. Ad aprire la spedizione c’è il fotografo Matthias Schickhofer, coordinatore locale di un programma di mappatura della Dbu, il fondo federale tedesco per l’ambiente. Schickhofer vuole documentare l’aspetto di una faggeta intatta.

I boschi che per secoli sono cresciuti senza alcun intervento umano significativo dovrebbero essere protetti, come prevedono il diritto europeo e quello romeno. È a questo scopo che sono state emanate norme a tutela dell’ambiente e sono stati istituiti i parchi nazionali. Per abbattere alberi in queste aree i requisiti sono molto rigidi, almeno in teoria. Mentre in altri luoghi si attuano programmi dispendiosi per ripristinare aree distrutte e si spendono milioni per ripopolarle con animali come la lince o il gallo cedrone, qui esiste ancora la natura incontaminata. Non c’è bisogno di fare niente, basta evitare di distruggerla. Per il momento le motoseghe hanno risparmiato la valle di Boia Mică. Dopo due ore il gruppo raggiunge uno spuntone di roccia da cui si scorgono le profondità della valle. Le superfici dei pendii fittamente ricoperte di alberi hanno un aspetto inusuale. “Sembra un broccolo”, dice Schickhofer con il treppiede sulla spalla. Dal basso arriva sommesso il mormorio di un fiume, e a un certo punto si sente il rombo lontano di un aereo nascosto dalle nuvole. Per il resto regna il silenzio. Un tempo anche la Foresta nera e la Foresta bavarese, in Germania, avevano un aspetto simile. Quello che tinge di verde scuro i fianchi delle montagne non è solo un ammasso di alberi antichi: è il risultato di milioni di anni di adattamento, un serbatoio di conoscenze sotto forma di geni, ecosistemi, esempi di cooperazione e concorrenza. Di fronte alla minaccia del riscaldamento globale, le foreste vergini sono tesori genetici: non c’è altro luogo in cui il mondo vegetale presenti così tante varietà. Le foreste vergini romene sono finestre viventi sulla nostra storia. Qui ci si può fare un’idea dell’aspetto che aveva l’Europa prima che gli esseri umani rimodellassero il continente in base alle proprie esigenze. Ma ormai la strada arriva anche a Boia Mică.

Vuoti come ferite

Mentre il gruppo procede, la conversazione si spegne. Schickhofer si ferma e posiziona il suo treppiede. Un ex ispettore forestale romeno con i pantaloni mimetici e l’aria sempre arrabbiata (tranne quando beve il grappino della sera) si scoccia e continua a camminare sbuffando sotto i baffi. All’improvviso ci si ritrova soli, immersi tra gli alberi secolari. Qui i faggi sono alti cinquanta metri, e i loro tronchi lisci si slanciano elegantemente verso altezze vertiginose per poi sfociare in sontuose chiome. Come la Sagrada família di Barcellona, anche questi colossi attirano lo sguardo verso l’alto: sotto di loro ci si sente minuscoli, si piega la testa all’indietro e si rimane a bocca aperta. Spostando con il piede lo strato di fogliame si scopre un intreccio di filamenti pallidi: è il micelio, che come un tessuto nervoso collega tra loro gli alberi, rifornendoli di sostanze nutritive e trasmettendo informazioni. Un fulmine ha distrutto uno dei tronchi, e le schegge di legno si sono sparpagliate in tutte le direzioni. Da tempo gli alberi più piccoli attendevano che si aprisse uno spiraglio: nella faggeta la risorsa più scarsa è la luce.

Il legno morto dell’albero caduto nutre tutte quelle forme di vita invisibili e ignorate che nei boschi tedeschi praticamente non esistono più, perché nelle foreste dei paesi industrializzati dell’Europa occidentale quello che manca è la morte. In genere infatti gli alberi e i rami caduti vengono rimossi il prima possibile. Le foreste tedesche sono ordinate come campi coltivati, e questo ha delle conseguenze sulla biodiversità. Nelle foreste vergini il 70 per cento delle specie vive o all’interno o sulla supericie della necromassa legnosa, ossia del legno morto, oppure si nutre di essa. Non c’è nulla di più vitale di un albero morto.

I proprietari dei terreni vogliono impedire che quelle aree siano tutelate.

La vera morte non è un faggio caduto. Boia Mică dista circa 90 chilometri da Victoria, una piccola città fondata all’epoca del comunismo. Lì vicino c’è la valle di Ucea Mare. Superati i casermoni e le condutture del gas soprelevate, si gira a destra su una stradina che entra nel bosco. Una sbarra impedisce l’accesso alle auto e bisogna proseguire a piedi, prima su una strada bianca ben tenuta, poi su una strada forestale che s’inoltra nelle profondità del bosco. Dopo mezz’ora si vedono i tronchi a bordo strada, grandi faggi che una volta abbattuti arrivano ancora all’altezza del petto.

Spesso l’interno dei vecchi faggi è cavo, perché il legno comincia a marcire dal centro. È un paradiso per coleotteri, uccelli e funghi, ma non è certo legname pregiato. Gli alberi più antichi, che esistevano già quando in Europa ancora regnavano re e imperatori, sono buoni solo come legna da ardere. È difficile immaginare uno spregio più grande. È come distruggere l’Acropoli per pavimentare un vicolo. Solo che volendo l’Acropoli si potrebbe ricostruire, mentre una foresta vergine è distrutta per sempre.

Il sentiero si fa più stretto. Sul bordo di una pozzanghera ci sono le orme di un lupo, più avanti invece i cespugli sono stati schiacciati da un animale più pesante. L’orso è passato di qui. Qualche anno fa nelle riprese aeree il bosco era una massa compatta. Oggi nelle immagini satellitari si vedono le strade che squarciano i boschi, e tra le chiome degli alberi sono apparsi dei vuoti che sembrano ferite.

A Ucea Mare la strada passa davanti a un accampamento di boscaioli; in un angolo ci sono due trattori di epoca sovietica e dell’olio è colato sulla strada. Per portare fuori dal bosco i tronchi abbattuti, i trattori hanno attraversato il torrente. Ora l’acqua è torbida e il letto del torrente è distrutto. Queste operazioni sono illegali, ma non vengono punite, e lo stesso vale per il disboscamento della foresta vergine.

Le violazioni sono sistematiche. I proprietari dei terreni dove sorgono le foreste vergini vogliono impedire che siano inseriti nel registro nazionale. Così abbattono in fretta e furia gli alberi nelle aree ancora intatte, in modo che non possano più essere classifficate foreste vergini e possano essere disboscate senza problemi. Agent Green, un’organizzazione ambientalista locale che collabora con la fondazione tedesca Euronatur, ha documentato molti di questi casi.

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Questa mappa delle foreste primarie in Europa, pubblicata a maggio del 2018 su Diversity & Distributions, è la più completa e dettagliata mai realizzata: copre più di 1,4 milioni di ettari di terreno in 34 paesi europei. Le foreste primarie in Europa sono piuttosto rare e piccole, e sono generalmente situate in aree remote. Rappresentano solo una minima parte dell’area forestale totale, ma sono fondamentali per la conservazione della biodiversità: ospitano infatti molte specie in via d’estinzione e permettono di studiare l’impatto dell’attività umana sugli ecosistemi forestali. La mappa è stata realizzata da un gruppo di ricerca guidato da Francesco Maria Sabatini, dell’università Humboldt di Berlino, con la collaborazione di scienziati forestali, esperti e attivisti di ong in tutta Europa. Dallo studio è emerso che l’89 per cento delle foreste primarie cartografate si trova in aree protette, ma solo il 46 per cento di queste è sotto stretta protezione. In alcuni paesi, come Romania e Slovacchia, il disboscamento illegale potrebbe quindi comprometterne la conservazione.

Scelta rischiosa

I motivi per cui le violazioni non vengono quasi mai punite sono molti, ma hanno tutti una cosa in comune: l’avidità. Gran parte della foresta vergine appartiene a Romsilva, l’ente nazionale delle foreste, noto per due motivi. Il primo è che al termine della dittatura di Nicolae Ceauşescu assunse molti ex dirigenti della Securitate. Il secondo è la corruzione diffusa. Ma questo problema riguarda tutto il governo, che non s’impegna granché per fermare la distruzione delle foreste.

Opporsi al saccheggio è una scelta rischiosa. I ricercatori dell’università agraria di Praga, che lavorano nella regione da anni, riferiscono di aggressioni da parte dei guardaboschi. Il capo di Agent Green ha dovuto trasferirsi all’estero a causa delle minacce di morte ricevute. In Germania gli esperti del settore sono sconvolti. “Quello che sta succedendo è assurdo”, commenta un importante funzionario. “Come in una repubblica delle banane”.

Le immagini del disboscamento della foresta vergine di Białowieża, autorizzato due anni fa dal governo polacco, hanno fatto il giro d’Europa. In Romania da anni succedono cose molto peggiori, ma l’opinione pubblica continua a ignorarle. In Polonia per fermare il disboscamento c’è voluta una procedura d’infrazione della Commissione europea. Ora Bruxelles sta indagando sulla situazione in Romania. L’avvio di una procedura sarebbe il modo migliore per fermare il disboscamento prima che la foresta sparisca del tutto.

A Ucea Mare dopo tre ore di cammino si arriva alla triste destinazione. Tra le foreste intatte appare una radura grande come sessanta campi da calcio, un’area che qualche anno fa è stata disboscata completamente. Le nuvole sono sparite e il sole splende. Qualche cespuglio sta già ricrescendo, mentre l’erba e le giovani betulle lottano per emergere. Sul pendio di fronte una strada si arrampica attraverso una foresta di abeti rossi, come una minaccia.

Prima o poi questo luogo tornerà a coprirsi di vegetazione. Chi passerà di qui fra trent’anni sarà di nuovo circondato dal bosco. Ma non potrà più sapere com’era in passato. La foresta vergine è sparita per sempre. ◆